La galleria nazionale della Puglia “Girolamo e Rosaria Devanna”, con sede nel palazzo Sylos-Calò a Bitonto, edificio rinascimentale risalente alla prima metà del XVI secolo, è una realtà che solo qualche decennio fa era inconcepibile, benché sognata dai cittadini più avveduti e consapevoli.
Come in altri luoghi, città, paesi, contrade, innumerevoli in Italia, i reperti e il patrimonio artistico, le ricchezze dell’attività creatrice dell’uomo, i cespiti culturali, le opere, le imprese architettoniche, urbanistiche, ambientali sono polverizzati nel territorio, talora valorizzati, più spesso annichiliti nel marasma di una modernità scapestrata che non sempre organizza i saperi come giacimento di saperi condivisi.
Prezioso, dunque il contributo che possono dare le istituzioni museali, i conservatori artistici, i musei. L’apertura di una galleria nazionale, in un territorio – il nostro ambito regionale – che non ne aveva, definisce una più viva identità culturale e umana che supera i confini locali per armonizzarsi con i valori globali, planetari, direi, e attinenti alla storia umana tutta. La galleria nazionale della Puglia “Girolamo e Rosaria Devanna” si iscrive nello scarno elenco di questi conservatori dinamici del sapere, propulsioni attive di accrescimento del patrimonio civile e culturale dei popoli. Non solo delle cittadinanze locali, ma di una ambizione planetaria alla conoscenza.
Tempo addietro ho scritto, per queste stesse pagine, un articolo di allarme per un certo rischio che sembrava incombere sull’istituzione di cui ho fatto cenno.
“Ho letto che per un marasma di cause e disattenzioni o equivoci interpretativi di leggi prolisse e, evidentemente, ambigue, alcuni locali adiacenti alla pinacoteca sono stati acquistati da privati cittadini. Posto che non ho ragione alcuna di provare risentimento per gli onesti acquirenti, mi domando con pena e rammarico perché nessuno sia intervenuto. Intendiamoci: non al fine puro e semplice di impedire il “negozio” legittimo che assicura la proprietà dei locali a dei privati, ma per non sottrarre alla disponibilità della galleria pertinenze edilizie sicuramente utili, forse indispensabili, per il disbrigo di mansioni attinenti all’ottimo lavoro che in quella struttura si compie con quella qualità dell’attività umana che ha preso il nome di artigianato”. Questo quanto affermavo.
E qui devo dire che mi auguro che si sia risolta la questione condominiale piuttosto bizzarra e voglio ribadire quello che pensai e penso del prezioso patrimonio dell’artigianato che, meglio di qualsiasi altra mansione umana, serve a tramandare quel “saper fare” che è alla base dell’industre sviluppo della civiltà umana.
E l’artigiano ha bisogno del suo spazio definito che può non essere vasto, imponente, ma deve essere nella disponibilità dell’arte sua. All’epoca della rischiata zuffa condominiale notavo: “Ecco la convinzione di semplice saggezza che sarebbe dovuta bastare a chi, per ruolo e responsabilità, per competenze o ufficio avrebbe dovuto impedire l’alienazione dei locali che afferiscono al monumento che è il Palazzo Sylos-Calò, a Bitonto, e all’artigianato che ospita: l’arte museale che è sublime, a maggior ragione se è espressione compunta e appassionata del mecenatismo”.
Non è più rinviabile, a Bitonto, come dovunque, in questo sterminato giacimento culturale e artistico che è l’Italia, un rafforzamento deciso delle istituzioni museali, anche, e soprattutto, quelle dislocate, come nel caso delle istituzioni pugliesi e bitontine, in provincia. Strutture agili, moderne, agiate nel senso della mancanza di ansie finanziarie, ben guidate e amate da personale preparato. Sono macchine moderne, non inquinanti, di vicende economiche molto utili e che fanno molti utili.
Il “museo”, nel greco antico “mouseion”, era il luogo sacro alle Muse, figlie di Zeus e protettrici delle arti e delle scienze, guidate da Apollo. Erano figlie di Mnemosine, dea della memoria. Suggeritrici delle arti e delle narrazioni. Nell’antichità fu celebre quello di Alessandria, voluto da Tolomeo Filadelfio nel 280 a.C.: formalmente era un luogo di culto, ma, in realtà, ospitava una comunità scientifica e letteraria. Gli studiosi disponevano di spazi dedicati agli incontri, alloggi e avevano un salario. Duemilatrecento anni fa si capiva che occorreva investire in cultura e ricerca. La direzione del museo era affidata ad un dignitario che aveva la stessa funzione dello “scolarca” del “peripato”, il liceo fondato da Aristotele.
Oggi le Muse hanno arruolato nuove arti e, quindi, pretendono santuari museali più acconci e comodi. Forse sono scappate imbronciate da certi musei modernissimi, offese dall’ambientazione disgustosa, ma, certo, non concedono interviste e evitano il pubblico che, spaesato, evidentemente, prova il malumore di visitatori costretti a trasformarsi in avventori di centri commerciali, quegli orribili “non luoghi” in cui annega il buon gusto e la dignità del vivere quotidiano.
Tale è lo stile di una architettura e di una ambientazione paradossali per bruttezza e inadeguatezza di certi moderni ambienti museali. Non è il caso della Galleria Devanna di Bitonto che, come dicevo, conserva un assetto artigianale e il carattere, direi, confidenziale che è tipico dell’artigianato che, oltre al saper fare, tramanda il bisogno di sapere e far sapere.
Nella foto in alto, il cortile di palazzo Sylos-Calò, sede della galleria “Girolamo e Rosaria De Vanna”. Nelle altre foto, alcune opere esposte nel museo