Il recupero e la valorizzazione del patrimonio artistico della chiesa di San Domenico, a Bitonto, proseguono con due nuovi interventi di restauro, finanziati dall’arciconfraternita del Santisimo Rosario. I lavori hanno riguardato l’immagine di San Rocco e la pala d’altare, raffigurante la Madonna del Rosario tra Santi Domenicani.
Ad eseguire l’opera, lo studio d’arte e restauro di Valerio Jaccarino e Giuseppe Zingaro di Andria, con l’autorizzazione dell’ufficio Beni culturali dell’arcidiocesi Bari-Bitonto e l’alta sorveglianza della Soprintendenza ai beni artistici.
Delicate e complesse le fasi del restauro della statua di San Rocco, opera dello scultore napoletano Francesco Citarelli.
Il peso notevole aveva indebolito il pannello alla base, che presentava rotture in più punti. Evidenti erano anche le lesioni e le cadute di pellicola pittorica, che mostravano il supporto ligneo, indebolito, tra l’altro, dall’azione delle tarme. Maldestre puliture nel corso degli anni avevano consumato le lacche traslucide, che coprivano la preziosa argentatura dell’immagine (tecnica spagnola importata nel Regno di Napoli e che Citarelli aveva mutuato, con molta probabilità, dalle opere dello scultore campobassano, Paolo Saverio Di Zinno).
Il rinvenimento di frammenti di lacca originari tra le pieghe del manto e sotto il reliquiario (punti difficili per la pulitura), ha convinto i tecnici della Soprintendenza a riprodurre lo stesso colore con sottili velature delle lacche, che fungono anche da protezione contro l’ossidazione dell’argento, dopo la pulitura degli incarnati e delle superfici argentate e il consolidamento della la struttura lignea.
Come chiarisce la dott.ssa Marianna Saccente, del Centro Ricerche di Storia e Arte Religiosa in Puglia, Francesco Citarelli (1790-1871) è un artista poliedrico di grande autorevolezza, come testimonia la nomina a titolare della cattedra di pittura all’Accademia di belle arti di Napoli nel 1850.
Citarelli si aggancia all’iconografia della tradizione settecentesca napoletana (memore del giovanile apprendistato presso lo scultore Francesco Verzella), innovandola attraverso le eleganze dell’accademizzato gusto neoclassico. Il suo talento si manifesta nella realizzazione di trofei d’armi e di allegorie per lo scalone d’onore del Palazzo reale di Napoli, nella scultura sulla facciata principale del Teatro San Carlo nonché nelle decorazioni della sala del trono della Reggia di Caserta.
Ma la sua vena artistica più autentica si concretizza pienamente nelle opere a carattere devozionale (grazie soprattutto alla committenza degli ordini religiosi), di cui la statua di San Rocco rappresenta uno degli esempi più alti.
Nel 1528, a causa dell’imperversare della peste, furono rivolte al santo le preghiere dei bitontini. La città ne uscì illesa e San Rocco venne proclamato patrono della città. In segno di ringraziamento gli fu dedicata una chiesetta. Il fervore devozionistico di fine ‘800, dopo la sua invocazione nel 1836 contro il colera e ancora nel 1886, spinse un gruppo di fedeli a rinverdirne il culto e a riunirsi in una confraternita costituita con atto notarile l’8 giugno 1898.
L’anno successivo, la confraternita si trasferì dall’omonima chiesetta (dimostratasi subito inadeguata al numero di confratelli) a San Domenico, dove era già presente la statua di San Rocco, fatta realizzare ai primi dell’Ottocento, con le elemosine del popolo, dal Citarelli. Finalità della confraternita erano l’assistenza ai poveri, la sepoltura gratuita dei confratelli e l’istituzione dei maritaggi. La confraternita è andata lentamente esaurendosi fino all’estinzione nel 1976, e alla decisione degli ultimi confratelli di lasciare in gestione all’arciconfraternita del Santissimo Rosario i pochi beni posseduti, le cappelle cimiteriali e il culto interno a San Rocco. Al sodalizio ora il compito di perpetuarne la memoria e seguire questo grande esempio di santità.
Altrettanto complesso il restauro della pala d’altare raffigurante la Madonna del Rosario tra Santi Domenicani. Il dipinto su tela fu commissionato nel 1739 a Paolo De Maio (Marcianise 1703 – Napoli 1784), pittore di inconfondibile formazione solimenesca, quando i lavori di ampliamento della chiesa di San Domenico, inizialmente ad aula unica, portarono alla realizzazione del transetto. La pala trova collocazione presso l’altare privilegiatum, destinato al culto perpetuo della Titolare del sodalizio rosariano, e dal quale si impartiva l’indulgenza plenaria corredata dalle disposizioni penitenziarie vigenti.
In quest’opera De Maio, che fino a quel momento aveva aderito ai termini puristici del classicismo arcadico sperimentato dal maestro Francesco Solimena con l’uso di equilibrate soluzioni disegnative, si rivolge invece ad assecondare le proposte di Francesco De Mura, le cui ricercate formule stilistiche, inserite in una luminosa dimensione atmosferica, tendevano a neutralizzare la violenza degli effetti chiaroscurali solimeneschi, al fine di far confluire le espressioni figurative negli esiti letterari improntati alla riscoperta di momenti idillico-pastorali.
La pala rappresenta il momento d’inizio della storia domenicana, ossia l’istituzione del Rosario da parte della Vergine a San Domenico di Guzman, accompagnato da Santa Caterina da Siena (riconoscibile grazie all’attributo del cuore, emblema delle sue lunghe estasi), San Pio V (pontefice che istituì la festa del Santissimo Rosario, riconoscibile dalla tiara papale) e Sant’Agnese da Montepulciano (riconoscibile grazie all’attributo dell’agnello). Sia la centinatura rocaille sia la teatralizzazione dei 15 misteri del rosario, dipinti entro bendoni, desunti da invenzioni giordanesche, mirano ad enfatizzare la gloria rosariana, ben sintetizzata in basso dal cane ceroforo, Domini canis, aliter animalesco dell’etimo del santo fondatore.
L’opera presentava una superficie pittorica fortemente disidratata e ricoperta da sporco e vernici ossidate non adeguatamente rimosse durante i precedenti interventi di restauro. La pellicola pittorica è stata pulita preliminarmente e consolidata dal retro, dove erano presenti lesioni del supporto tessile. Si è proceduto, poi, alla velinatura di protezione del dipinto, che è stato montato su un nuovo telaio. Infine, la pellicola pittorica è stata oggetto di pulitura di rifinitura, e sono state stuccate e integrate pittoricamente le lacune presenti.