“Che vi sia stato un incontro fra Mussolini e Lenin non è la fantasiosa ipotesi di una storia immaginaria. La circostanza dell’incontro si presentò realmente quando l’uno e l’altro vivevano in Svizzera. All’inizio del 1904, Lenin e Mussolini abitavano entrambi a Ginevra”. Sembra l’inizio di un romanzo d’avventura. E, invece, è il prologo dell’ultimo, avvincente saggio di Emilio Gentile, edito da Laterza. Fra gli storici contemporaneisti più apprezzati a livello accademico e noto anche al grande pubblico, Gentile è giunto a Bitonto per presentare, introdotto dalla prof.ssa Cecilia Petta, il suo ultimo saggio: “Mussolini contro Lenin”.
Il titolo, si sa, difficilmente può trarre in inganno il lettore. Anche il più sprovveduto, fin da subito, sa con che cosa dovrà confrontarsi. Anche la copertina, di per sé, è particolarmente evocativa: sullo sfondo si stagliano, imponenti, le figure di due grandi protagonisti che, in segno di sfida, puntano l’indice l’uno verso l’altro.
Da un lato, Benito Mussolini, fondatore a Milano dei fasci di combattimento, nel marzo 1919, e, in seguito, autore della marcia su Roma, nell’ancor più tragico 28 febbraio 1922. Dall’altro, Vladimir Lenin, leader indiscusso della Rivoluzione dell’ottobre 1917, convinto sostenitore della realizzazione di un “Socialismo in terra”, che avrebbe dovuto rovesciare l’oppressione mondiale del capitalismo, causa scatenate, a suo avviso, assieme all’imperialismo, del primo conflitto mondiale.
Due giganti, quindi, di quel “secolo breve” che è stato il Novecento, come dalla celebre definizione di Erich Hobsbawm.
Ma entriamo subito in argomento. Il volume prende le mosse, come si diceva, dal 1904, anno in cui, Lenin e Mussolini, entrambi esuli dai rispettivi paesi, ebbero modo di incontrarsi al Café Brasserie Handwerk, ritrovo abituale dei compagni socialisti russi e italiani. Vuoi proprio il 18 marzo, anniversario della Comune di Parigi: coincidenza storica o ironico gioco del caso?
È un fatto che “dal 1904 al 1914 Lenin e Mussolini camminarono su due vie parallele, ma non provenivano da parallele esperienze di vita”, ha esordito Gentile, invitando il pubblico a far subito piazza pulita dei luoghi comuni che albergano in una certa storiografia, pigra e poco immune al fascino delle comparazioni fra eventi e personaggi di epoche storiche radicalmente antitetiche tra loro.
A cominciare dal pregiudizio di chi “parla di ritorno del fascismo in Italia senza sapere di affermare una grande sciocchezza. Chi, oggi, può lamentare di non avere il diritto al voto, la possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero, di scrivere ed esprimere ciò che desidera?”, riflette il professore. Non è necessario scomodare i grandi storici del passato, da Erodoto a Croce, per rendersi conto che qualunque tentativo di creare parallelismi fra il passato e il presente è un esercizio fallace che nessuna osservazione giustifica e che non aiuta a far luce sull’oggi.
Curioso. Nonostante entrambi provenissero dal socialismo rivoluzionario e avessero militato nelle correnti più “estreme” di quella che, un tempo, si sarebbe definita la Sinistra, Lenin e Mussolini non ebbero mai alcuna condivisione ideologica.
Fin da tenera età. “Lenin è uno studente modello, nato in una famiglia benestante, cresciuto in un ambiente agiato e tranquillo, un’indole calma e gioviale, mentre Mussolini è un ragazzo ribelle, uno studente indisciplinato, altero e insofferente”, ha spiegato Gentile. Il primo, essenzialmente, ancorato agli “studi ottocenteschi e influenzato dal positivismo, dal marxismo e dall’hegelismo, dotato di una solida preparazione teorica”, il secondo, “affascinato dai fermenti culturali del primo Novecento, con annessa critica dei sistemi teorici e suggestionato dall’irrazionalismo”.
Tra i punti di contatto che Gentile, magistralmente, elenca nel libro, certamente suggestivo quello secondo cui “Lenin era convinto che il compito del partito bolscevico non fosse quello di chiamare tutte le forze disponibili all’attacco, bensì di promuovere un’organizzazione rivoluzionaria capace di unire tutte le forze che possono servire per la battaglia decisiva, e Mussolini, persuaso che l’ordine sociale non si muta d’un colpo, come pensavano certi utopisti”.
Eppure, sulle pagine del Popolo d’Italia, quotidiano fondato da Mussolini, il futuro duce prenderà a rinnegare Lenin, il “traditore” colpevole di aver messo a rischio, in seguito al ritiro della Russia nella Prima guerra mondiale, la vittoria degli alleati occidentali.
Più volte Mussolini cambierà idea su Lenin e sulla rivoluzione bolscevica, fino al punto da dichiarare che “la nostra azione sarà contro ogni forma di dittatura che non potrebbe sboccare che in una nuova manifestazione di barbarie”. E ancora: “La nostra rivoluzione, se sarà inevitabile, deve avere impronta romana e latina, senza influenze tartariche e moscovite” ha sottolineato il professore.
In questa prospettiva, risulta particolarmente istruttivo l’uso delle fonti: le testimonianze private di Mussolini e Lenin, gli articoli e, soprattutto, gli editoriali del Popolo d’Italia che, pagina dopo pagina, punteggiano la narrazione, testimoniando le prese di posizione e gli scontri fra i protagonisti del decennio, chiaroscuro e ambiguo, fra il 1912 e il 1922.
“Mussolini contro Lenin” può sembrare una “vita parallela” dal sapore plutarcheo. L’intento del suo autore, tuttavia, diverge di centottanta gradi rispetto al modello del biografo greco.
“Non mi interessano affatto le intime consonanze” che pure, non si può negarlo, ci furono “fra il leader che, anche nelle decisioni più temerarie, precedeva tutti, Vladimir, e il leader che, prima della conquista del potere, seguiva, non conduceva ma era condotto, aspettando che le situazioni evolvessero per assumere le sue decisioni, Benito”, spiega Gentile.
“Ho voluto illustrare la profonda e radicale differenza fra due precisi modelli: la teoria filosofica di Lenin, in realtà, fa a pugni con la prassi e l’esperienza sul campo di Mussolini” ha concluso lo storico. Il saggio è un racconto davvero entusiasmante che riscrive la storia. Senza dare nulla per scontato. Contro ogni interpretazione oleografica del presunto “già noto”. Perché, d’altra parte, si dovrebbe scrivere di storia, per ripetere le cose già dette?
Emilio Gentile ha la stoffa del divulgatore, che prova diletto a raccontare la storia e a comunicare lo stesso piacere al lettore, invogliandolo a saperne di più.