Le parole sono piume, le parole sono pietre. Per il poeta, le parole sono pennellate di emozioni sulla tela della vita. E ogni quadro che si completa ha bisogno di silenzi che tratteggino risposte. È il tempo dell’ascolto e della presenza, ma anche di nuove sillabe consonanti e dei getti spontanei di pensieri condivisi.
I libri sono i custodi di quelle parole. Il verbo magico, che le fa emergere da quegli scrigni eterni, è “leggere”. Solo chi passa lo sguardo partecipe fra le pagine di un’opera letteraria può compiere il cammino estatico, il miracolo della epurazione dalle mediocrità. Non tutto quello che viene scritto è bellezza, ma il lettore è un cercatore e in quel mare infinito, e solo in apparenza uniforme, sa trovare la giusta via.
Fiero del libro è il festival che la casa editrice Secop di Peppino Piacente, con l’associazione culturale FOS, organizza a Corato per portare nelle piazze la cultura della lettura e promuovere “affetto” sincero per i libri, soprattutto per quelli nati da un sentire poetico e universale. E “fieri” di appartenere a quel mondo straordinario sono stati sia gli organizzatori che i partecipanti, in un clima settembrino, un po’ capriccioso ma assai complice.
Tre giornate di dibattiti, confronti, messaggi lasciati al futuro di cui il poeta, in primis, tenta di codificare il senso, partendo dai moti evocativi di un passato che è soprattutto memoria, hanno animato lo spazio antistante il teatro comunale.
Per dare risposte a domande sul senso più profondo dell’esistenza, l’appuntamento di fine estate ha accolto incontri che hanno coinvolto belle anime oltreché menti pronte a interrogarsi e a confrontarsi per trovare il sottile bandolo di una matassa sempre più intricata, un segnale di speranza di uscita dal labirinto delle odierne ambiguità.
La conduzione di Raffaella Leone, responsabile della comunicazione delle edizioni Secop, ha legato con delicata misura i vari interventi. Attorno al primo argomento, sono ruotate le considerazioni sul rapporto fra l’uomo e il divino. Valentino Losito, Silvana Mangano, Enzo Quarto, Eliseo Tambone e Alberto Tarantini hanno dibattuto su temi che forse non avranno mai univoche soluzioni. La ricerca non sottende mai certezze, ma punti saldi di riferimento sono la partenza di ogni buon cammino.
Nella serata conclusiva, che ha condensato quasi due programmi a causa delle condizioni meteo ostili del giorno prima, si è espressa al meglio l’idea alla base del festival dedicato al libro. Lo si è compreso dal ragionamento del poeta serbo Mirko Dimic, giovane di età ma maturo di pensiero, in grado di rendere una versione spiazzante sulla parola “futuro” e, soprattutto, dalle riflessioni di Giovanni Gastel, celebre fotografo italiano, che ha espresso il punto di vista sul significato della “creatività”, motore di ogni produzione artistica.
Un ospite d’eccezione che ha dato lampante spessore all’incontro, donando lumi ai presenti sul ruolo di chi interpreta la realtà mediante l’arte. Lirici e profondi, come sempre, gli interventi della poetessa Angela De Leo, che ha interloquito con la pittrice Marisa Caravellese e l’autore Giuseppe Fischetti.
Fiero del libro è stato soprattutto un abbraccio di sentimenti, nel ricordo di amici scomparsi, come lo scultore bitontino Franco Sannicandro, definito “l’artista pugliese” per il legame mai sciolto con la propria terra. Il festival è stato un intervallo di tempo prezioso sospeso nel flusso inarrestabile della contemporaneità, scandita da connessioni sempre più virtuali.
La conclusione in “bellezza” è giunta con la premiazione del concorso dedicato a Primo Leone, intitolato “La tavolozza del poeta”. Fra le undici opere finaliste, selezionate tutte a pieni voti, nelle due sezioni previste che abbinavano la poesia alla pittura e alla fotografia, la scelta dei due primi premi è stata affidata al voto “popolare”.
In questo finale inatteso, insieme a Luciana De Palma e Rosanna D’Abramo, per l’opera di poesia e pittura “S’affacciò il mare”, è stata premiata la mia “Figlio di questa terra”. Un’immagine associata ad alcuni versi che ho scritto, convinto che l’appartenenza non sia la voce di un documento di identità; nella speranza che ci sia ancora una dimensione dell’anima senza confini di pensiero, una regione del cuore dove trovi accoglienza anche l’ultimo arrivato.