A guardare raffigurazioni di imperatori e imperatrici su monete o mosaici dell’Impero Bizantino, non è difficile notarne l’aspetto rigido, anche ieratico. Personaggi come Anastasio I Dicoro e Zenone possono poi apparirci distanti già dal nome.
Probabilmente qualcuno potrebbe anche ricavarne l’impressione che costoro siano stati statue anche da vivi. Che noia doveva essere vivere a quei tempi!
Nulla di più lontano dalla realtà.
A ricordarcelo c’è Teodora. La figlia del circo, il primo romanzo storico di Mariangela Galatea Vaglio. L’autrice è docente, giornalista, blogger, dottore di ricerca in Storia antica. Negli ultimi anni ha pubblicato diversi libri: in ambito divulgativo, come ad esempio, Didone (2014) e Socrate (2015), oltre alla storia della lingua italiana L’italiano è bello (2017).
Chi scrive ha avuto modo di seguire questo lavoro da quando era ancora in fase embrionale: già allora però l’obiettivo era molto ambizioso, quello di una trilogia che narrasse le vicende di Teodora e Giustiniano, un periodo di rivolgimenti e di figure storiche di grande fascino.
Questo primo romanzo della trilogia comincia attorno al 500 d. C., durante il regno del già citato Anastasio I. Teodora, la protagonista che diverrà moglie dell’Imperatore Giustiniano, viene seguita sin dalla più tenera età.
Ai tempi, l’eco del crollo dell’Impero Romano d’Occidente era ancora viva, ma quello d’Oriente rimaneva come la principale potenza del Mediterraneo, estendendosi su tre continenti: Europa, Asia e Africa.
I destini di Teodora e Giustiniano sembrerebbero destinati a non incontrarsi mai: lui con un’educazione classica e uomo in carriera, militare e politica; lei di infima condizione, attrice e prostituta.
Le loro vite si incontreranno invece durante i regni di Anastasio I e Giustino. Sullo sfondo del loro percorso ci saranno guerre, conflitti religiosi, la politica e le trame di palazzo.
I capitoli sono brevissimi: una scelta che da una parte contribuisce a mantenere il ritmo, e dall’altra è comoda per il lettore, che non si trova a perdere il filo del discorso perché magari deve temporanemente abbandonare un capitolo di settanta pagine.
I capitoli sono occupati da scene dal piglio cinematografico; assai di rado al principio di ciascuno di essi ci ritroviamo con gli stessi personaggi e negli stessi luoghi che avevamo conosciuto nel capitolo precedente.
Invero, si tratta un libro che si presterebbe moltissimo alla resa sul piccolo o sul grande schermo.
Alla fine della lettura, come spesso avviene coi romanzi storici, il profano potrà chiedersi se le cose siano andate davvero così.
Per rispondere alla domanda occorre innanzitutto avere contezza di chi sia l’autrice.
Galatea Vaglio è già presente nel manuale Racconti da museo, col contributo Lo storytelling per i beni culturali: il racconto, ed è stata autrice di numerosi racconti per Archeostorie e per la mostra Traiano. Costruire l’Impero, creare l’Europa, presso i Mercati di Traiano a Roma.
Questo romanzo è insomma l’applicazione pratica dei principi già espressi in quel manuale, in esteso, passando dal racconto al romanzo storico.
La fonte principale per questa prima parte della trilogia è stata Procopio di Cesarea, con le sue Storie Segrete, un resoconto del regno di Giustiniano, dalla stessa autrice definito preciso e pettegolo.
Particolarmente apprezzabile – per quanto raro nei romanzi storici – è poi l’aver posto due note a fine libro, nelle quali si spiegano ulteriormente quali sono gli elementi e i personaggi reali, e quali invece quelli di finzione. Si risponde così alla domanda – più che legittima – che il lettore potrà porsi: «ma di quanto ho letto, cosa è avvenuto per davvero?»
In conclusione, Teodora. La figlia del circo non è solo un romanzo storico appassionante e niente affatto noioso, ma dopo averlo letto il profano potrà – cum grano salis – sapere di aver imparato qualcosa su quel periodo, almeno a grandi linee. Probabilmente il maggior merito di questo lavoro è però proprio quello di aver cercato di rendere “vivo” il mondo e le persone di quell’epoca, anche per chi non ha il tempo di andarsi a leggere le Storie Segrete di Procopio.
Primo piano ha posto alcune domande all’autrice.
Come si fa a rendere vivo il personaggio di un romanzo storico?
Troppo spesso capita che i personaggi antichi siano descritti con un’eccezionale rigidità, come statue. Si tratta del cosiddetto complesso del busto da museo, che effettivamente non fa che allontanare il pubblico. I personaggi sono descritti come exempla, come esempi inarrivabili. Non scatta l’identificazione perché sono troppo diversi da noi. E invece erano esseri umani, carichi di dubbi, di difetti, facevano anche loro stupidaggini e prendevano decisioni anche irrazionali.
Vederla diversamente aiuta anche nel renderli degli eroi credibili, al di là della nostra esperienza di vita: è difficile immedesimarsi in una statua.
Da un eroe di un romanzo spesso chiediamo di essere personaggio credibile, di avere dei difetti, di essere “incasinato”, di non sapere cosa fare, di andare un po’ a naso, di non sapere come andranno a finire le cose.
I romanzi storici possono seguire più o meno pedissequamente le fonti. Perché ha scelto proprio questa via?
Non so se sia proprio una scelta o un portato del mio carattere: nasco con l’impostazione della storica, quindi per me rimanere legata alle fonti (storiche, archeologiche, ecc.) costituisce davvero la base. Non riuscirei a concepire di lavorare in altre maniere.
Non era questione di costruire una trama per questo romanzo, perché la trama c’era già e non era assolutamente pensabile di allontanarmi da quello che dicevano i documenti.
Il lavoro maggiore è stato perciò quello del collage tra le varie fonti, con l’impianto fondamentale proveniente da Procopio, mentre per alcuni avvenimenti sono andata a ricercare negli altri testi bizantini e coevi. Non sarebbe però bastato prendere pezzi di notizie e metterli dentro. Volevo invece creare una trama nella quale quei pezzi della tradizione storiografica venissero in qualche modo orchestrati insieme, per creare un disegno che potesse dare un’idea della Costantinopoli dell’epoca e del periodo.
Qualcosa di molto ambizioso, ma ci si prova.
Giustiniano e Teodora sono descritti come persone accorte e anche spregiudicate, talvolta anche sbrigative. Si amavano davvero?
Secondo me, sì. Si tratta di una delle coppie più forti della storia: siamo quasi a livelli di Augusto e Livia, quelle coppie di potere nelle quali entrambi portano qualcosa all’altro.
Anche a prescindere da questo, credo sia stato comunque un grande amore. I loro sono due caratteri sotto molti aspetti complementari: lui grande intellettuale, una mente molto analitica, fredda e calcolatrice, adatta alla politica; lei invece credo avesse proprio quell’istinto per la vita che a lui mancava.
Lo si vedrà anche in seguito, Giustiniano non era un uomo che sapeva trattare le folle, era uomo di palazzo e apparato, con una certa incapacità di relazionarsi agli altri, di “trattare” la vita.
Lei invece proveniva “dal basso”, aveva indubbiamente visto di tutto a Costantinopoli e non aveva paura di niente: era in grado di gestire situazioni di grande crisi, sul palcoscenico e nella vita, venendosene fuori con battute anche terribili.
Lui doveva essere affascinato da lei, capace di fare ciò in cui lui non riusciva, cioè vivere.
Lei d’altra parte doveva forse essere attratta dalla sua capacità di sovrintendere a una serie di cose che per lei invece erano oscure, oltre che da quel classico fascino dell’uomo di potere, in grado di manovrare un meccanismo complicato quale l’Impero.
Credo possano essersi incredibilmente innamorati, ammesso che si possa parlarne così, con un concetto molto moderno. Quella di Costantinopoli era poi una corte molto sensuale, e una donna in grado di sedurre come Teodora doveva anche essere un bell’esempio di moglie “trofeo”.
Nella foto in alto, Mariangela Galatea Vaglio con il suo romanzo dedicato a Teodora