Il mondiale più bello è quello contro il razzismo

È un inno alla fratellanza universale il cortometraggio del bitontino Vito Palmieri, vincitore della sezione MigrArti alla mostra del cinema di Venezia

È un’Italia preda di palesi contraddizioni ma anche di insperati ritrovamenti d’umanità quella tratteggiata dal regista bitontino Vito Palmieri nel suo cortometraggio Il mondiale in piazza, premiato come miglior film nella sezione Migrarti della 75esima Mostra del Cinema di Venezia.

Da un lato le meraviglie architettoniche del passato, esemplificate dalla cattedrale romanica di Bitonto, suo paese di nascita, sulla cui piazza si svolge il mondiale del titolo. Bellezze che testimoniano i traguardi (est)etici e le ambizioni culturali d’un tempo e che sono valse al corto e alla città anche un altro premio, quello per la valorizzazione del patrimonio culturale. Dall’altro la terribile ottusità di chi si ostina a non voler riconoscere il sacrosanto e naturale diritto a considerarsi appartenenti alla comunità italica da parte degli immigrati di seconda generazione, nati cioè sulle nostre sponde. Quello che in termini giuridici va sotto il gelido nome di ius soli, il diritto di suolo contrapposto al diritto di sangue, che vorrebbe la cittadinanza riconosciuta esclusivamente per trasmissione da genitore a prole.

L’Italia agli italiani, insomma, la complessità del processo di integrazione, le resistenze che lo ostacolano, l’inclusione, tutti temi in linea con i campi di riflessione che l’Europa e il ministero dei Beni e delle attività culturali si propongono di stimolare, attraverso cinema e spettacolo, con il progetto MigrArti.

Quando Ahmed, un ragazzino nato in Italia da genitori senegalesi, chiede di iscrivere la propria squadra coi colori italiani al torneo alternativo che alcuni ragazzi locali hanno organizzato per sentire meno l’amarezza per l’uscita del Bel Paese dalla competizione ufficiale, Mario, autoctonissimo ideatore dell’evento (interpretato da Giulio Beranek, che ironicamente ha padre ceco e madre spagnola) dimentica proprio questo: che non è l’unico a poter vantare tale diritto. E infatti al solito refrain del “io sono nato qui, tu no”, Ahmed risponde che anche lui, nonostante il colore differente della sua pelle, è nato qui. E parla anche il dialetto.

Il regista Vito Palmieri con i due premi ricevuti a Venezia

Due Italie si trovano allora a contendersi il trofeo, Italia 1 e Italia 2. Ma se per Mario la numerazione sta ad indicare un’inviolabile gerarchia, quella determinata da una presunta superiorità dell’originale puro (italiano 100%, come certa carne al supermercato) sulla copia spuria composta da usurpatori, per Ahmed non è affatto così: gli aspiranti si sono guadagnati, a suon di sacrifici e coraggio, il diritto a dirsi pari a chi certi riconoscimenti può vantarli per automatica acquisizione.

Del resto, cosa rende più originale l’una, piuttosto che l’altra, chiede il ragazzo. Se entrambe nascono dallo stesso ecosistema, se parlano la stessa lingua, se cantano lo stesso inno, aggiunge Palmieri? È questa domanda, semplice ma diretta, potente, a decretare la sua vittoria sull’Italia in purezza. Una constatazione che nell’opera di Palmieri si fa perno senza mai scivolare nella polemica, nello scontro, nella violenza. Perché di per sé sufficiente ad esprimere una precisa idea di mondo, di società.

La stessa che nessun razzista potrà mai veramente imporre a chi avrà il cuore per capire l’estrema povertà umana di chi ad essa si oppone. A partire da quel bambino che prima di chiunque altro si azzarda a rompere il muro del silenzio, della vergogna. E allora adesso possiamo finalmente gridare: Italia, Italia, Italia!

Nella foto in alto, un’immagine tratta dal corto Il mondiale in piazza