Il vigile del fuoco Nikos e l’allerta senza fine in Grecia

Gli abitanti di Rodi seguono con apprensione le notizie che giungono da Atene e ricordano l'incendio che dieci anni fa mandò in fumo un terzo della loro isola

Nikos è un vigile del fuoco e siede alla locanda di famiglia. Sostiene con sicurezza che gli incendi sono di origine dolosa. Così come può benissimo immaginare chi siano gli autori del gesto infame.

L’allerta è massima. Nessuno deve spegnare il telefono. Chiunque può essere chiamato, anche chi vive nelle isole. Atene ora non brucia più, ma i focolai divampati in tutta l’attica sono stati diverse decine: così, il numero delle vittime, oggi fermo a 87, pare destinato a salire rapidamente. Neppure le notizie che giungono da Creta sono buone. In Grecia è così. Il giorno è costruito su sponde di precarietà. La gente è pronta, dev’esserlo sempre. Il fuoco è nelle viscere, ribolle sotto i piedi.

Lo ricorda il cono di Nysiros, isola vulcano che appare di fianco al sole nei tramonti più luminosi. Lo annuncia la stessa terra che talvolta trema come le foglie di ibisco al soffio del Meltemi, lasciando cicatrici nella memoria dei luoghi. Lo rivela l’Egeo. Quando le onde si rivoltano al silenzio, bisogna saperle ascoltare. Il mare è tutto. Passato, futuro, impeto, abbandono. Il mare è il destino senza forma, la parola che nessuno ha ancora trovato.

Di fronte alle sponde turche, ad ovest di Rodi, i vigneti arrivano a sfiorare la costa e si fanno largo fra i canneti e l’altra vegetazione che cresce rigogliosa e spontanea. Dieci anni fa anche qui scoppiò il finimondo. La montagna fumava come per un’eruzione. Il cielo divenne scuro all’improvviso e un odore acre invase le quiete distese che si allungano verso la battigia. L’aria divenne irrespirabile. Un terzo dell’isola andò in fumo. Il rombo dei canadair echeggia tutt’ora fra le valli, fino alle cale e agli arenili.

Il panorama di Lindos, uno degli angoli più suggestivi dell’isola greca di Rodi

Il ricordo preme sulle coscienze come un monito perenne. Questa fragile meraviglia va difesa. Ma chi si macchia di un crimine così grave si scontra puntualmente con l’amore sconfinato dei figli di queste rive.

Oggi le notizie ancora concitate si avvicendano, invadono ogni angolo della frastagliata nazione. Carcasse di automobili e volti di bambini spariti nel nulla. Scenari da girone dantesco. L’inferno è entrato nelle case di tutti, immortalato nell’ultimo abbraccio di madri ai figli come in un’eterna tragedia.

I bar hanno i televisori accessi. Le immagini scorrono da giorni, sempre le stesse, sempre diverse. Le bandiere sono rimaste a mezz’asta sui tetti, lasciando più spazio di cielo per fare arrivare prima le preghiere. Il bianco e l’azzurro sventolano come emblema di un rispetto, di un’appartenenza che supera i confini politici. La cittadina di Mati non c’è più.

È stata divorata dalle fiamme. Il suo nome, letteralmente, significa “occhio”. E, di occhi, questa parte d’Europa abbonda. Sono riprodotti ovunque come portafortuna, presenza che garantisce protezione. Ma stavolta non è andata così. Lo sguardo sul mare è stato spento.

Le carcasse di auto devasate dall’incondio che ha divorato il centro di Mati

Il baccano del turismo si perde come anonimo sottofondo. Sarà un’estate da ricordare distintamente, nel rotolare delle stagioni di sport acquatici, frappè, ciabatte e pagliette.

Mentre i giornali italiani lasciano scorrere in basso la cronaca della devastazione, qui si ha la sensazione che si sia aperta una ferita nella storia, spalancando una voragine di nuove incertezze. Quelle in cui si svolge la straordinaria routine del Mediterraneo.

Passaggi di sole che picchia sulla pelle e nenie di spume che carezzano l’anima. Tuoni improvvisi in un cielo senza nubi e repentini cambi di vento, nella forza e nella direzione dell’esistenza. In mattine di bonaccia, si fatica a trovare l’orizzonte in fondo all’azzurro.

Ma più di frequente, i contrasti della natura si affiancano a quelli delle giornate. Un poco per volta. Perché qui le ore vanno rallentate con l’attesa. Non importa l’esito. Conta la speranza. I corvi si fermeranno sui cavi della corrente elettrica gracchiando alle albe e il profumo dei fiori di plumeria accoglierà una nuova estate. Si continuerà a vivere di poco, di quel poco che basta per vivere.

Ora che il fuoco ha lasciato posto alle ceneri, Nikos è tornato a lavorare alla locanda di famiglia. Deve svolgere i soliti turni ma sa bene che potrebbe ricevere quella chiamata per difendere la sua isola. Prima di affidarsi, ancora una volta, alla cura del tempo.