Confessiamolo. Senza infingimenti. In concomitanza con l’arrivo in città dei rinforzi, in termini di organico, delle forze dell’ordine (i famosi “cento uomini”, inviati direttamente dall’allora ministro dell’Interno, Minnitti, come segnale di reazione dello stato al gravissimo episodio di sangue, con cui il 2017 si era congedato da Bitonto), una riflessione l’abbiamo fatta tutti.
“Bene l’incremento dei controlli per le nostre strade, ma sicuramente sarà destinato a durare giusto poche settimane. Poi, quando i riflettori delle telecamere si saranno spenti, tutto tornerà come prima” è stato il pensiero comune.
Un ragionamento non certo ingiustificato o privo di fondamento, vista la storia recente della lotta al crimine organizzato nell’hinterland barese, segnata da una vorticosa altalena tra potenziamento del sistema di monitoraggio del territorio e contrasto del malaffare, da parte delle forze dell’ordine, e successiva riorganizzazione dei fenomeni di malavita e illegalità, anche a causa di una cronica carenza di agenti e mezzi negli organici dello stato.
Ed invece, oggi, siamo qui ad ammettere (con la giusta miscela di soddisfazione e speranza) che questa volta ci siamo sbagliati. Che l’attenzione dello stato (una entità che troppo spesso avvertiamo come lontana da noi, dalle nostre vite, dalla nostra quotidianità) per la realtà bitontina non è affatto calata con il trascorrere delle settimane e dei mesi, concretizzandosi in una fitta rete di controlli, indagini, appostamenti e blitz. Che quei posti di blocco quasi ad ogni angolo della città, con cui è stato salutato l’avvento del 2018, dopo la tragica fine di Annarosa Tarantino, vittima innocente della faida tra clan, non si sono lentamente smaterializzati. Che la presenza dei rappresentanti e tutori della legalità per le nostre strade non si è per nulla ridotta con l’avvicendarsi del governo centrale o con l’emergere di nuovi fattori di criticità in altre zone del Paese.
I frutti di questa strategia di monitoraggio del territorio non si sono fatti attendere: a partire dallo smantellamento di una serie di vere e proprie “centrali” per la produzione e lo spaccio delle sostanze stupefacenti (operative da chissà quanti anni tra i vicoli del centro antico, con tanto di strumenti all’avanguardia per la segnalazione dell’arrivo di poliziotti o esponenti di qualche gruppo criminale avverso), per proseguire con l’individuazione e l’arresto dei due killer della compianta Annarosa e successivamente del presunto mandante dell’omicidio e capo dell’omonimo clan della malavita Domenico Conte (al termine di una autentica caccia all’uomo, che ha visto passare al setaccio interi quartieri dei comuni limitrofi da parte delle forze dell’ordine). Oltre che del vertice dell’altro clan attivo sul territorio bitontino, Francesco Colasuonno (detto “Ciccio Cipriano”), del latitante Giuseppe Pastoressa e di numerose altre pedine da tempo operanti sullo scacchiere del crimine organizzato nostrano.
Fino ad arrivare, in questa escalation di successi nel faticoso e meticoloso operato delle forze dell’ordine, all’operazione “Pandora” portata a segno nelle scorse settimane dai carabinieri del ROS (coordinati dai pm Giuseppe Gatti, Lidia Giorgio, Renato Nitti e dall’aggiunto Francesco Giannella), che ha consentito di eseguire ben 104 ordinanze di custodia cautelare e di ricostruire la struttura organizzativa e la capacità di infiltrazione dei clan Mercante-Diomede e Capriati nel tessuto economico-sociale di larga parte della provincia di Bari (incluso anche il territorio bitontino).
In una riedizione di quanto consegnatoci dal mito in riferimento alla fanciulla forgiata da Efesto, che disobbedendo all’ordine di Zeus scoperchiò il famoso vaso facendone uscire tutti i mali (con la sola speranza che non fece in tempo ad allontanarsi dall’urna preparata dal padre di tutti gli dei), l’indagine portata avanti dalla magistratura e dalle forze dell’ordine ha fatto emergere i consolidati rapporti tra i gruppi criminali baresi, quelli foggiani e la Sacra Corona Unita, in una sorta di abbraccio tra fattori di illiceità funzionale a stritolare ogni rantolo di legittimità nella nostra Regione.
Con un interesse sempre più marcato dei clan a creare canali di collegamento con il settore economico e sociale (in quest’ottica, con ogni probabilità, vanno interpretate e lette le sempre più frequenti minacce indirizzate a sindaci ed amministratori pugliesi) e con l’introduzione al loro interno di una struttura rigidamente gerarchizzata, in cui sono chiaramente delineati ruoli e compiti dei singoli affiliati. L’operazione, che ha rappresentato l’approdo di un lungo e meticoloso studio di carte processuali e delle dichiarazioni rese da circa 50 collaboratori di giustizia, ha decapitato e smantellato i potenti clan Marcante-Diomede e Capriati, con ramificazioni in tantissimi comuni delle provincie di Bari e della Bat, ricostruendone l’oggettiva forza intimidatrice sprigionata sul territorio e gli interessi perseguiti (come l’usura, la ricettazione, i furti in abitazioni, l’imposizione-installazione delle slot-machine negli esercizi pubblici , il possesso di armi e lo spaccio di stupefacenti), con la correlata identificazione degli autori di numerosi fatti criminali verificatosi negli scorsi anni nelle nostre città.
Certo, non è ancora giunto il tempo di abbassare la guardia, perché nelle cronache locali non mancano episodi di soprusi, illegalità, malavita. Perché il sentimento di sicurezza che si respira per le nostra strade è sì decisamente migliorato rispetto al recente passato, ma è ancora lontano dal raggiungere picchi elevati. Perché i fenomeni di disturbo alla quiete ed alla tranquillità pubblica sono sempre dietro l’angolo e talvolta si innestano come rami “malati” di un virgulto di civiltà e di riappropriazione del territorio da parte della collettività: basti pensare alle risse o agli episodi di illiceità che stanno accompagnando quel “mondo della movida” sempre più dilagante nei vicoli del nostro borgo antico.
L’importante è restare vigili, proseguire con decisione nell’opera di monitoraggio e controllo da parte delle sempre volenterose e generose forze di polizia. Solo così il retropensiero alla base dell’iniziale confessione potrà non fare più capolino nelle nostre intelligenze.