“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
C’è anche il Pavese forse più compiuto, quello de La luna e i falò (ma anche dei Dialoghi con Leucò, a dirla tutta) nello show che Raffaello Fusaro e l’orchestra sinfonica di fiati “Davide Delle Cese” hanno portato in scena in piazza San Lorenzo a Viterbo, sede dell’omonimo duomo e del Palazzo dei Papi, location d’eccezione dell’ormai seguitissimo Caffeina.
Festival con cui il regista e attore bitontino collabora ormai da anni, vero e proprio gioiello culturale, capace di attirare centinaia di migliaia di visitatori, di quella Tuscia cui ha reso onore nel suo ultimo spot d’autore, Luce a cavallo.
E non potrebbe essere altrimenti, condensata, com’è, in quel passaggio esemplare d’un caposaldo del nostro Novecento letterario, tutta l’essenza dell’inestricabile intrecciatura universale tra l’animo del poetante e il proprio nido natio, su cui Fusaro ha voluto tessere la sua personalissima “Scorribanda”, spettacolo tra teatro, cabaret, prosa, poesia e musica, che da anni porta nei teatri e nelle piazze di tutta la penisola.
Uno spettacolo, diretto ed interpretato dallo stesso drammaturgo insieme a Rossella Giugliano, che fa del racconto della sua città – dolceamaro, trascinante, vivace – un’ode appassionata alla Puglia e al Sud tutto, un’occasione per ricordare, come ha detto Fusaro stesso, “un tempo a volte lontano, prezioso, che dovremmo portare sempre con noi”.
Tempo dentro la Storia (c’è la seconda guerra mondiale, un internato che torna a casa, la povertà del dopoguerra e la fatica della ricostruzione) ma soprattutto fuori da essa, un tempo eterno ed espanso, che non è fatto soltanto di ricordi d’infanzia e gioventù, di intimi paesaggi interiori, volti conosciuti o storie di prossimità, ma di un’eredità più liquida, composita e sfilacciata, che è assieme individuale e collettiva, che riconosce nell’immaginario del singolo la compresenza di una infinità di particelle di vita, provenienti da ogni dove e tutte ugualmente significative.
È questo ad unire ciò che altrimenti potrebbe apparire slegato, Fellini (a cui viene dedicato un toccante omaggio che passa, ovviamente, per le musiche di Nino Rota) e Pavese, cinema e letteratura, musica e parola, Bitonto e il mondo.
La banda del titolo, allora, non poteva che essere quella della sua città, diretta dal maestro Vito Vittorio Desantis, che è anche direttore artistico di FlataTùm, il festival bitontino dedicato alle bande con all’attivo ormai quattro edizioni, chiusosi quest’anno, dopo tre giorni di eventi molto partecipati, proprio con “Scorribanda”, poco prima della trasferta viterbese.
È la musica, del resto, per parafrasare uno dei primi, brillanti guizzi della rappresentazione, ad aver fatto l’Italia, prima ancora della Costituzione e dell’apparato democratico. Eccolo allora il clarinetto, malinconico e suadente, intonare il tema di “Nessun dorma”, seguito, poco dopo, dalle decine di altri strumenti che compongono l’orchestra “Davide Delle Cese”, intitolata al celebre direttore e compositore nato a Pontecorvo ma stabilitosi a Bitonto alla fine dell’Ottocento per dirigere la banda locale. Eccolo, l’ensemble, eseguire una marcia funebre che accompagna verso il camposanto tutte le storture di un Paese malconcio, condensate in una fittizia lettera ad un emblematico “giovane che ha vent’anni”, simbolo d’una generazione in lotta col precariato più nero.
E mentre la musica risuona, la voce di Fusaro passa agevolmente dal napoletano di una poesia di Eduardo alla toccante interpretazione di un reduce bitontino, sciorinando nomi e schede biografiche di chi più ha fatto onore alla città, dal matematico agostiniano Giovanni Maria da Bitonto e da Luca Apulus, francescano, letterato e teologo (i cui sermones sono contenuti nelle biblioteche di tutta Europa) a Francesco Speranza, passando per l’architetto ottocentesco Luigi Castellucci, progettista della tomba di Torquato Tasso, e Caffarelli, glorioso cantante castrato del secolo dei Lumi.
Nel mistero di cieli notturni e di luce lunare che filtra dagli archi a sesto acuto della loggia “delle benedizioni”, alle spalle del palco, in mezzo a tanta bellezza, pare quasi di sentirli parlare.