Sabato 7 luglio papa Francesco sarà a Bari, per un incontro con i fedeli, ma anche con tutta la città, destinato a passare agli annali della storia di questa regione.
Prosegue, così, l’iniziativa di Primo piano, rivolta a capire come il mondo delle associazioni e delle istituzioni cattoliche si sta organizzando in vista dell’evento.
Dopo l’intervista a padre Mario Marino, parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi, sede a Bari dei frati minori conventuali, incontriamo Antonio Colagrande, presidente diocesano di Azione Cattolica, realtà associativa tra le più attive e determinanti non solo a livello ecclesiale ma anche territoriale e civile.
Facciamo un po’ di storia: come e quando nasce Azione Cattolica?
Quest’anno celebriamo i 150 anni della nostra associazione. Nacque ufficialmente nel 1869 grazie all’intraprendenza di due giovani, il bolognese Mario Fani e il viterbese Giovanni Acquaderni, che fondarono la società dei giovani di Azione Cattolica. La sua portata storica è significativa: vide la luce, infatti, all’indomani dell’Unità d’Italia, in un momento delicato. I due giovani fondatori dimostrarono che era possibile animare dall’interno il tessuto sociale italiano con i valori del cristianesimo. A distanza di 150 anni si può dire che la loro intuizione ci ha consegnato una bella eredità, che abbiamo il dovere di trasmettere alle generazioni future.
Qual è la costituzione dell’associazione?
Il prossimo anno celebreremo il cinquantesimo anniversario del nuovo statuto, voluto da Vittorio Bachelet nel 1969. Esso garantiva la riunificazione dei diversi rami – gioventù maschile e femminile, i bambini e le bambini, gli uomini e le donne – in un’unica associazione, articolata in due settori: adulti e giovani. Oltre questi due rami, nasceva anche il gruppo dell’ACR, l’Azione Cattolica Ragazzi, che rappresenta un’attenzione dei giovani e degli adulti rivolta ai più piccoli. La nuova gestione prevedeva, come ancora oggi, una presidenza nazionale e articolazioni a livello diocesano e parrocchiale. Il primo livello definisce per natura l’Azione Cattolica vissuta nella dimensione ecclesiale: è chiamata a servire la chiesa diocesana nella figura del vescovo e dell’intero popolo di Dio. Il secondo livello, invece, mostra come l’associazione si radichi a partire dalla diocesi nelle varie parrocchie.
Quali sono le vostre attività più importanti?
Quando ho cominciato a camminare sul terreno dell’Azione Cattolica, gli adulti della mia parrocchia natale di Adelfia ripetevano questa terna “Preghiera, sacrificio e azione”. La prima dimensione, quella della preghiera, rifletteva sull’incontro personale con Dio, attraverso l’ascolto della parola, i momenti di adorazione e i sacramenti. Il sacrificio prevede l’impegno della persona anzitutto nello studio. Risulta determinante, dunque, un’adeguata formazione: parola che è diventata straordinariamente attuale a distanza di cinquant’anni dal Concilio. Due documenti su tutti sono fondamentali nell’appartenenza all’azione cattolica: la “Lumen gentium” e la “Gaudium et Spes”, che ancora oggi vanno messi al centro della propria formazione, in quanto laici maturi. Infine, la terza dimensione, quella dell’azione, ci chiama ad essere attivi nel mondo. Mi piace molto l’espressione di don Tonino Bello, “essere contempla-attivi”: giovani, adulti e bambini devono essere capaci di tradurre l’ascolto della parola in evento, in impegno e in progettualità condivisa.
Qual è il ruolo della presidenza?
Sono presidente dell’associazione da un anno. Gli incarichi sono tutti triennali e rappresentano l’espressione di una scelta democratica. Non esistono leader nell’associazione. In questo momento storico trovo particolarmente stimolante l’aspetto della corresponsabilità: l’associazione, infatti, deve essere simile a una casa dove tutti ci sentiamo a nostro agio e siamo responsabili di tutti i luoghi e gli ambiti. Alla presidenza spetta un compito di coordinamento e orientamento, soprattutto alla luce delle indicazioni emerse dall’ultima assemblea diocesana nel 2017, che ha elaborato un documento programmatico, in cui si sottolinea il compito del vertice: tradurre in percorsi concreti le indicazioni fornite all’inizio del triennio. Accanto all’ufficio di presidenza esistono due consiglieri, gli amministratori e altre figure elettive, come i due vice giovani, i due vice adulti, il responsabile e il viceresponsabile dell’ACR. Ciascun settore, tra le figure elettive, è retto anche da un assistente che è sempre un sacerdote. L’esperienza diocesana, attraverso il consiglio, è una bella lezione di democrazia, perché educa tutti a valutare, discernere e selezionare le soluzioni possibili.
Cosa si aspetta, in qualità di presidente diocesano di Azione Cattolica, dall’incontro col papa?
Ritengo il pontificato di Francesco un’autentica grazia di Dio. Rappresenta una scossa profonda nell’intero magistero della chiesa. Papa Francesco ha avuto il gran merito di rovesciare la visione del nostro essere chiesa. Durante il convegno ecclesiale di Firenze più volte ha ribadito che la chiesa Italiana ha il dovere di provare a tradurre le intenzioni dell’Evangeli Gaudium, ribadendo la sua idea di chiesa incentrata sul vangelo e sulla gioia. C’è un’espressione che mi convince molto: “La chiesa deve tornare a proporre esperienze capaci di attrarre”. Questo costa tanto in termini di sacrificio e impopolarità, ma credo sia la strada giusta da intraprendere. Vedo con grande favore e con grande entusiasmo la visita di papa Francesco a Bari, il prossimo 7 luglio. Credo che dobbiamo essere tutti presenti per testimoniare anzitutto la nostra vicinanza al pontefice e alla chiesa. Vedo nel pontefice il segno che lo Spirito Santo agisce nella chiesa e nel mondo. Lo scorso 30 aprile a Roma, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dalla nascita dell’associazione, Francesco ci ha chiesto di essere portatori di una passione cattolica. Far parte di Azione Cattolica non può essere un’adesione formale ad un’associazione, ma un impegno concreto e incisivo nella diocesi e sul territorio. Azione Cattolica è per Francesco il punto di partenza per una “chiesa in uscita”, una chiesa capace di incontrare l’uomo nella sua quotidianità. Credo che la nostra presenza il 7 luglio sia importante perché, anche da un punto di vista storico-sociale, il nostro paese rischia una deriva nazionalista e populista grave, rispetto alla quale noi cristiani siamo chiamati a dire da che parte stiamo. Mi auguro che dopo l’evento tanto atteso saremo capaci di dimostrarci una chiesa che difende il valori dell’accoglienza. L’apertura di papa Francesco ai capi delle chiesa orientale deve essere la prova che non dobbiamo temere l’incontro con l’altro, diverso per cultura, religione e idee. Dobbiamo essere costruttori di ponti, facendo della Puglia una regione capace di coniugare accoglienza e sicurezza, evitando così le tragiche morti in mare di milioni di persone.
Nella foto in alto, Antonio Colagrande, presidente diocesano di Azione Cattolica