I cervelli che il Sud regala al Nord e che non tornano più

Un recente studio dello Svimez, presentato al Senato, rivela che sono più di quarantamila gli studenti pugliesi che scelgono di studiare nelle università del centro-nord

Si fa un gran parlare delle massicce migrazioni dal Sud del mondo verso Nord, dall’Africa all’Europa. Si discute, giustamente, animatamente, della necessità di regolarizzare il fenomeno, di contenerlo, di condividerne le modalità di gestione con gli Stati membri dell’Unione. Ed è fuor di dubbio che questo rappresenti una sfida da affrontare, soprattutto per le conseguenze che questa forma poco disciplinata di spostamento di massa comporta in termini di emergenze umanitarie, di rischio per l’incolumità stessa di chi decide di affrontare il viaggio.

Sappiamo, però, che da almeno una quindicina d’anni un altro flusso migratorio, interno, si è manifestato con crescente intensità, interessando centinaia di migliaia di persone che dalle regioni meridionali hanno deciso di spostarsi verso il Centro-Nord o all’estero. Un deflusso di uomini – e di capitale, umano – che con regolarità abbandonano aree in cui la domanda di lavoro è storicamente debole per raggiungere zone dove l’economia è più capace di generare opportunità lavorative.

All’interno di questo sconfortante trend, lo Svimez – l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno che da anni mette nero su bianco, qualificandola e quantificandola, questa emorragia – ha rilevato ormai da tempo come ad assumere particolare incisività sia una specifica forma di migrazione, quella intellettuale. Quella, cioè, che riguarda chi possiede una formazione specialistica di alto livello o persone che stanno completando il loro percorso accademico iscrivendosi a corsi universitari o post-universitari. Un vero e proprio brain drain, il drenaggio di cervelli di un Paese, o di una parte di esso, a favore di altre aree più sviluppate. La cosiddetta fuga dei cervelli, insomma.

In particolare, certifica l’associazione in un apposito studio presentato ieri in Senato, sono sempre di più gli studenti che si iscrivono ad università centro-settentrionali, anticipando di fatto l’avvicinamento a mercati del lavoro ritenuti maggiormente in grado di assorbire risorse umane che puntano tutto sull’alta qualità della propria formazione. Risorse che, nella maggioranza dei casi, vanno via senza tornare nelle regioni di origine, “indebolendo – come spiega il direttore dello Svimez Luca Bianchi – le potenzialità di sviluppo dell’area attraverso il depauperamento del c.d. capitale umano, uno degli asset più importanti nell’attuale contesto”.

I numeri della ricerca rendono tutto più chiaro. Nell’anno accademico 2016-2017 i meridionali iscritti all’università sono complessivamente circa 685mila e di questi il 25,6 % (pari a 157mila unità) studia in un Ateneo del Centro-Nord. Mentre il contrario, cioè l’iscrizione di un settentrionale in un istituto universitario del Sud, avviene solo in meno del 2% dei casi. La Puglia è, dopo la Sicilia, la regione con il maggior flusso in uscita, con oltre 40mila giovani che studiano più su di dove sono nati.

Ma che impatto economico può generare un trasferimento di persone così corposo? I conti sono presto fatti. Sulla base di dati forniti da Miur e Istat, lo Svimez stima una perdita immediata, tra consumi pubblici e privati, di circa 3 miliardi. Uno andrebbe perso per la minore spesa della pubblica amministrazione dovuta alla iscrizione fuori circoscrizione dei 157mila studenti (costi docenti, servizi didattici, infrastrutture), mentre gli altri due riguardano la spesa per consumi privati attivata dagli studenti fuori sede per alloggi e principali voci del costo della vita (prodotti alimentari, utenze, trasporti e comunicazioni).

Traslato sul piano del Pil, il prodotto interno lordo, utilizzato come parametro per esprimere sinteticamente il benessere di una collettività e il suo livello di sviluppo, ciò significa una riduzione di 0.4 punti percentuali del risultato che si sarebbe avuto trattenendo sul territorio i nostri emigranti.

Un depauperamento già significativo, sicuramente inferiore, tra l’altro, a quello registrabile nel lungo periodo. Quando la sottrazione di intelligenze, competenze e talenti inizia ad esplicitare tutta la sua portata, con evidenti e importanti ripercussioni sulla vita civile, amministrativa e politica del Mezzogiorno.