Il nostro, per definizione, è il paese del bel canto. Da Tito Schipa a Luciano Pavarotti, passando per Giuseppe Di Stefano, Beniamino Gigli ed Enrico Caruso, il firmamento mondiale della lirica è punteggiato di stelle italiane.
Ma oggi qual è lo stato della lirica nel Belpaese? E nella Puglia, che pure ha contribuito nel passato alla sua grandeur, a partire dal mitico Tito Schipa, nato a Lecce nel 1888?
Ne parliamo con Umberto Lazazzara, classe 1975, barese, tenore lirico spinto, sulla scia degli interpreti del repertorio più impegnativo, influenzato da grossi nomi del passato quali Mario del Monaco in primis, Aureliano Pertile e Franco Corelli.
Ciò che salta subito all’occhio, osservando il mondo della lirica, e che in qualche modo fornisce il termometro della situazione, è sia la diminuzione delle produzioni sia, di conseguenza, delle opere in cartellone. Cosa puoi dirci in proposito?
L’attuale condizione della lirica in Italia non sembra essere a livelli degni di nota, soprattutto in rapporto a quella che è stata la storia della lirica nel nostro paese. La siituazione, che ormai si protrae da anni, deriva dai consistenti tagli – come un po’ in tutti i campi della cultura e non solo – operati dallo stato, che eroga agli enti i fondi necessari alla realizzazione degli spettacoli. Inoltre, i fondi distribuiti agli enti lirici ossia ai teatri vengono stanziati in ordine gerarchico, ovvero di importanza, degli stessi teatri. La Scala di Milano, ad esempio, viene sovvenzionata in maniera più cospicua rispetto ad alcuni teatri del centro-sud, come il Petruzzelli di Bari, il Teatro Massimo di Palermo e il San Carlo di Napoli, non certo per differenza di spessore artistico o di importanza storica.
Se i problemi sono questi, è sempre più improbabile, dunque, che l’opera possa “parlare” a un pubblico che non può permettersi il costo elevato del biglietto?
Non è detto. Oggi, infatti, grazie ad associazioni e a privati che si avvalgono di sponsor, l’opera viene rappresentata in contesti “interni”, teatri o saloni, ma anche esterni, in situazioni “microfonate”, laddove l’acustica non permette, in una forma cosiddetta pocket, ossia una rappresentazione completa dell’opera, oppure in forma ridotta – i cosiddetti estratti – con accompagnamento del solo pianoforte che, anche se non rivela lo stesso impatto orchestrale, permette di abbattere notevolmente i costi. In Puglia, spesso, il Circolo Unione di Bari viene utilizzato per questo tipo di rappresentazioni: si pensi alle operette o anche alla Traviata. Lo stesso avviene nel Salone degli Specchi a Taranto.
L’opera lirica in Puglia sembra ormai segnare il passo. Richiama ancora gente in teatro?
In realtà, ogni anno il Petruzzelli propone una serie di titoli importanti che attraggono l’interesse del pubblico proveniente da ogni dove. Mi riferisco, ad esempio, alla produzione dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo del 2014 con la regia di Marco Bellocchio, che fece registrare un notevole successo di pubblico e critica, ma che per i problemi a cui si accennava, a cominciare dai tagli sino ai costi eccessivi per la rappresentazione – regia, costumi e interpreti – hanno causato la cancellazione dal cartellone di opere come il Rigoletto di Verdi e la Lucia di Lammermoor di Donizetti.
Il pubblico, di conseguenza, dimostra un interesse ambiguo nei confronti dell’opera: da un lato viene seguita e compresa dal pubblico degli affezionati, che seguono da sempre questa tipologia di eventi, dall’altro da giovani curiosi, assolutamente a digiuno della materia, grazie anche al lavoro della divulgazione scolastica, anche se la fetta più consistente è rappresentata dai futuri addetti ai lavori, come orchestrali, cantanti e scenografi.
È vero che oggi non esistono più le voci di una volta, le cosiddette “voci all’italiana”?
No, non ritengo sia così. Ci sono grandi e belle voci, che potrebbero aspirare a divenire un domani voci importanti nel panorama nazionale e internazionale. Non esistono più, invece, o sono molto rari i maestri in grado di insegnare la tecnica del canto all’italiana. Nella maggior parte dei casi, al contrario, rovinano queste belle voci proprio nel periodo di fioritura, recando così irreparabili danni e molti ritiri nel percorso di studio.
Per voce all’italiana s’intende quella tecnica che si basa sulla pronuncia schietta, che unitamente ad un canto sul fiato, con il diaframma che lavora come un mantice, facendo vibrare morbidamente e senza spinta le corde vocali, produce un suono in maschera, dalle cavità e dalle risonanze craniche, di estrema bellezza, potenza, compattezza e risonanza, udibile in ogni angolo del teatro anche in forma di pianissimo.
Cosa ti ha portato ad avvicinarti alla lirica, un genere tutto sommato poco compreso?
Da un percorso iniziale di cantante rock, blues e gospel, ho preso atto del fatto che la mia voce ha virato con naturalezza estrema verso le tinte vocali tipiche della lirica, donandomi spontanee vibrazioni e sensazioni che tuttora mi appagano e mi rendono felice.
Pensi di partecipare, a breve, a qualche iniziativa o ti è stato proposto qualcosa di più importante?
Su questo non voglio espormi molto; tengo solo a dire che mi è stato proposto lo studio del personaggio del Moro di Venezia, ossia l’Otello di Verdi. Spero a breve di darvi conferma di ciò.
A Umberto Lazazzara auguriamo che la sua passione per la lirica possa davvero – con l’aiuto dei suoi colleghi innamorati del proprio lavoro – giungere a un pubblico sempre più vasto, più impegnato e meno pigro intellettualmente. Anche perché, non va dimenticato, l’opera lirica è parte integrante della storia d’Italia.
Nella foto in alto, il tenore Umberto Lazazzara si esibisce in un salone della Galleria Devanna di Bitonto