Nel maggio di cinquant’anni fa, Jimi Hendrix arrivò in Italia per un tour nel nostro Paese, l’unico nella sua breve ed esplosiva carriera musicale.
Il tour lo vide esibirsi in concerto il 23 maggio del lontano 1968 a Milano, al Piper. Nei due giorni successivi fu a Roma, per quattro sessioni al Teatro Brancaccio, e il 26 maggio, infine, a Bologna, al Palazzo dello Sport.
Quell’esperienza fu così straordinaria da risultare indimenticabile per quanti assistettero ai suoi concerti, già consapevoli della portata storica dell’evento. Il giornalista Enzo Gentile e Roberto Crema hanno messo ordine tra i materiali relativi al tour, curando una mostra al Palazzo della Triennale di Milano, intitolata Hey Jimi, The Italian Experience 1968. L’esposizione, che si conclude proprio quest’oggi, ha presentato articoli e riviste, foto inedite, altri materiali dell’epoca, come biglietti e oggetti da collezione.
La mostra, in realtà, è ispirata dal libro Hendrix ’68, The Italian Experience, i cui autori sono gli stessi curatori. Enzo Gentile, critico musicale e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, non è nuovo a lavori di questa portata: ha curato rassegne e festival, scritto libri e steso opere di natura enciclopedica, svolto attività radiofoniche e televisive nei decenni scorsi.
Hendrix ’68, The Italian Experience apre con una gustosa prefazione di Carlo Verdone: l’attore romano ricorda anche che si preparò allo spettacolo romano consumando letteralmente i dischi del chitarrista statunitense. Tra le oltre cento testimonianze raccolte dagli autori, si ritrovano anche quelle di personalità di rilievo della musica e dello spettacolo del nostro Paese, come Renzo Arbore, Dodi Battaglia, Florinda Bolkan, Gianni Boncompagni, Loredana Berté, Ricky Gianco, Fabio Treves, Maurizio Vandelli, Renato Zero.
The Italian Experience
Oggi Jimi Hendrix non si discute, è unanimemente considerato una delle figure più importanti della storia del rock: più o meno direttamente, la musica dei nostri giorni deve tantissimo alla sua creatività, alla sua capacità di sperimentazione.
La stampa italiana dell’epoca non fu in grado, invece, di comprendere, e descrisse Jimi Hendrix come un eccentrico, un selvaggio, “un mostro nero coi capelli sparati, dagli usi e costumi minacciosi per la società italiana“. Non ci si occupò della sua musica, che avrebbe dovuto costituire il principale elemento di interesse. Di quel tour non esistono neppure registrazioni ufficiali, audio o video, per cui ci si rende conto facilmente dell’importanza di un lavoro di ricostruzione, come quello svolto da Gentile e Crema. Dopo cinquant’anni i ricordi possono difatti essere annebbiati e la leggenda può sostituirsi alla realtà.
Jimi Hendrix giunse in Italia il 23 maggio del 1968, stanchissimo dopo un volo intercontinentale in ritardo di due ore. Furono in pochi ad accoglierlo, anche alcuni curiosi che pensavano si trattasse di Cassius Clay. Tutti gli strumenti furono bloccati in dogana, per cui Hendrix si ritirò in hotel per riposare.
Aveva recuperato solo poche ore di sonno quando lo svegliarono per un’emergenza: al Piper, dove avrebbe dovuto suonare nel pomeriggio, la situazione stava degenerando. Il fondatore del locale si recò allora in hotel per richiamare il chitarrista ai suoi impegni. Hendrix si irritò: non aveva dormito, non aveva mangiato, non poteva suonare. Alla fine lo convinsero.
Dal lavoro di Gentile e Crema emergono ovunque aneddoti e particolari degni di essere tramandati.
In conclusione, Hendrix ’68, The Italian Experience non è solo un ricordo dell’impatto che il grande chitarrista ha lasciato nel mondo della musica italiana, ma un vero e proprio spaccato dell’Italia di quegli anni e dei suoi protagonisti.
Primo piano ha intervistato Enzo Gentile: il giornalista sarà in Puglia per il Medimex, domenica 10 giugno ai Giardini Peripato di Taranto.
Come nasce l’idea della mostra e del libro? Perché proprio ora?
La passione è una passione antica per entrambi, sin da quando eravamo ragazzi. Ed è proprio questa passione che ci ha fatto incontrare: io e Roberto Crema siamo impegnati in campi diversi, ma ci siamo incrociati grazie alle manifestazioni riguardanti Jimi Hendrix. L’idea ci è venuta in considerazione della mole di materiale da lui raccolta. Legandola al calendario, questa occasione ci è sembrata propizia: non solo per raccontare una storia significativa da un punto di vista musicale, ma pure per parlare di un periodo dell’Italia nel quale si comunicava in modo completamente diverso. Ci è sembrato un modo per raccontare come un personaggio così rilevante potesse essere recepito dagli italiani; insomma è anche una questione di costume e di società, ed Hendrix inserito in quel contesto ci sembrava interessante.
Che genere di materiali avete raccolto?
Un materiale eterogeneo ma limitato. Diversamente da oggi, a quel tempo non si conservava, non si catalogava tutto. Per giungere al punto: innanzitutto giornali e riviste hanno trovato spazio tanto nel libro come nella mostra. Di grandissimo interesse sono le foto, 200-250, in gran parte inedite. Furono scattate dalla gente nel pubblico, amatorialmente e a titolo personale.
Siamo riusciti a rintracciare oltre 100 fans presenti ai concerti: ciascuno ha raccontato la propria esperienza. Si tratta di testimonianze di prima mano, relative ai concerti di Milano, Roma e Bologna.
Come mai circolano tante “leggende” attorno al tour di Jimi Hendrix in Italia, e più in generale per quell’epoca?
Perché sono passati tanti anni. Oggi, grazie a Internet, si pensa di poter sapere tutto all’istante. Se questo vale per le cose più vicine a noi, non vale tuttavia per quelle lontane, per le quali non esiste documentazione: bisogna quindi fare il vecchio lavoro di incrociare i dati. Un lavoro che ha svolto Roberto, e dal quale è emerso che alcuni hanno millantato, riportando cose che non sono effettivamente avvenute. Quanto raccontato dalle cento persone indicate nel libro è stato invece provato. Per altri questo non è altrettanto vero, e ricordano male o raccontano cose differenti. In generale, si è trattato di un evento che non può essere dimenticato da chi l’ha vissuto; per altre persone – un po’ per invidia, un po’ per emulazione – è come se ci fossero state. Stiamo comunque parlando di un numero limitato di spettatori che vissero quell’esperienza. Ad esempio, a Milano lo spazio era ristretto al Piper, alcune centinaia di persone per una sola esibizione. A Roma di esibizioni ce ne furono di più, quattro.
Quali brani di Jimi Hendrix suscitarono la maggiore impressione durante il tour?
Questo non è chiarissimo. Abbiamo ricostruito la scaletta dei brani eseguiti e sappiamo che a Milano fu suonata una bellissima versione di Red House. Per il resto non è facile dirlo, perché ognuno ha un ricordo diverso dell’esibizione. Delle singole canzoni non esistono poi registrazioni ufficiali. Si consideri poi che all’epoca Hendrix aveva prodotto solo due album.
Ci sono importanti musicisti italiani che furono particolarmente colpiti da Hendrix?
Certo. Uno su tutti, Dodi Battaglia dei Pooh: allora aveva 16 anni e suonava in un gruppo di studenti, tra le band di apertura al concerto di Bologna. Si chiamavano I Meteors, suonarono cover di Hendrix e anche pezzi originali. A Bologna c’era anche Maurizio Solieri che poi avrebbe suonato con Vasco (col quale ha collaborato come chitarrista per più di trent’anni, ndr).
Ricordiamo anche Bambi Fossati che avrebbe fondato il gruppo Garybaldi, e poi Roberto Ciotti, uno dei grandi del blues, che era a Roma.
Dalla vostra ricostruzione emerge come Hendrix non sia stato trattato sempre benissimo durante la sua esperienza italiana. I suoi strumenti furono bloccati in dogana, i giornalisti non furono clementi con lui. Ma che impressione ricavò Jimi del nostro Paese?
Una ricostruzione è utile anche a questi fini, visto che allora i giornalisti si occuparono di altro. Dai racconti emerge qualcosa in merito alla sua opinione del nostro Paese, che Jimi Hendrix ha raccontato soprattutto alle persone che stavano con lui a Roma e a Milano. Fu molto colpito dalla Capitale: si fermò lì due giorni, visitò i monumenti di notte. Avrebbe voluto ritornare, prendere una casa e fare un soggiorno. A Milano, invece, pernottò a casa di Maurizio Vandelli degli Equipe ’84. Tutti lo ricordano come una persona deliziosa, di grande gentilezza.