A soli quindici giorni dall’uscita nelle librerie di tutt’Italia, “Il tuo metabolismo – L’utilità della dieta nella prevenzione e cura del cancro” (edizioni Mondadori) di Antonio Moschetta, bitontino, medico e professore ordinario di Medicina interna all’università Aldo Moro di Bari, è già un cult.
Dopo aver scalato rapidamente le classifiche dei libri più venduti, si avvia già alla seconda ristampa. La ragione di un simile successo non sta solo nella grande popolarità dell’argomento: sono centinaia i volumi che occhieggiano dagli scaffali delle librerie, pronti a farsi sfogliare da un pubblico sempre più avido di informazioni in tema di diete e prevenzione. In realtà, la fortuna esplosiva del volume sta nello stile sobrio e accattivante, fuori da tecnicismi e astruserie, che lo rende particolarmente appetibile ad una vasta platea di lettori, non necessariamente specialisti della materia ma certo appassionati di culture salutistiche, a cominciare da una sana alimentazione.
“Il tuo metabolismo” è, in realtà, un viaggio virtuale alla ricerca del benessere. Con un linguaggio semplice ma efficace, spiega ai lettori l’importanza di prevenire la condizione definita “sindrome metabolica”, principale campanello d’allarme di malattie cardiovascolari e oncologiche. Una sorta di libretto di istruzioni, in definitiva, grazie a cui, agendo su alcuni “leve” fondamentali, come una dieta corretta ed equilibrata, perseguire l’obiettivo di una vita sana e lunga.
Abbiamo incontrato il prof. Moschetta nella nostra redazione per chiarire gli aspetti più significativi delle teorie esposte nel volume.
Perché è importante riconoscere tempestivamente il soggetto con sindrome metabolica? Quali sono i sintomi principali?
La sindrome metabolica non è una malattia nel senso classico del termine, ma un insieme di fenomeni clinici che definisce il rischio per un soggetto di contrarre una determinata patologia. Tra i sintomi più frequenti rientrano una circonferenza addominale al di sopra di 94 cm nell’uomo e 84 cm nella donna, ipertrigliceridemia e ipocolesterolemia HDL. Studi clinici recenti hanno dimostrato, infatti, che le persone con una circonferenza addominale superiore al metro non solo hanno maggiori probabilità di sviluppare un tumore, ma sono anche più resistenti alle terapie standard. È anche vero che le cause dell’insorgenza della sindrome sono molteplici: l’ambiente, gli stili di vita e la predisposizione genetica sembrano avere un ruolo fondamentale in questa direzione. In particolare, la sindrome è collegata con il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e oncologiche, come tumore della mammella, della prostata, del colon retto e del tratto gastrointestinale superiore. È importante che il medico rivolga particolare attenzione proprio a questo soggetto, al fine di consentirgli di rientrare in una fascia di rischio inferiore semplicemente modificando il suo regime alimentare o lo stile di vita.
Lei ha introdotto il concetto di dieta personalizzata e ha affermato, nel suo libro, che alla parola rischio è legata la parola speranza. È possibile, dunque, tornare indietro, correggere, cioè, la condizione definita sindrome metabolica?
Si deve tornare indietro, invertire la tendenza negativa, correggendo la circonferenza vita, indagando le cause e le abitudini alimentari che stanno alla sua origine. Migliorare il proprio stile di vita facendo più movimento e adottando una dieta più salutare, come quella mediterranea, sicuramente contribuiscono alla correzione della sindrome metabolica. L’alimento cardine della dieta mediterranea è l’olio extravergine d’oliva, le cui proprietà nutrizionali sono conosciute in tutto il mondo: ricco di polifenoli, sostanze antiossidanti, ha un’azione protettiva sul sistema cardiovascolare e aiuta i soggetti con sindrome metabolica perché normalizza i livelli di glicemia. Si è visto che assumere due cucchiai di olio extravergine d’oliva al giorno riduce i trigliceridi e aumenta, grazie ai polifenoli, la capacità del nostro organismo di sciogliere il grasso viscerale.
In quale misura il tessuto adiposo può rappresentare un fattore di rischio per la salute del paziente? Esistono degli alimenti, o meglio dei nutrienti, in grado di stimolare il processo di imbrunimento del tessuto adiposo bianco, il cosiddetto browning?
Il tessuto adiposo, oltre a svolgere la sua classica funzione di raccolta dei grassi, è un vero e proprio organo in grado di promuovere cambiamenti fisiologici e, dunque, è responsabile del bilancio energetico dell’organismo. L’aumento dei depositi di tessuto adiposo altera l’equilibrio del nostro corpo, alzando i livelli di insulina, l’ormone che abbassa i livelli di glucosio nel sangue, e di molecole che promuovono l’infiammazione. Va precisato che nel tessuto adiposo bianco, come quello viscerale, il grasso viene accumulato, mentre il grasso del tessuto adiposo bruno viene usato per la spesa energetica. Se assumiamo in modo costante una quantità di cibo eccessiva rispetto alla spesa energetica, il nostro organismo tende a conservare l’energia sprigionata dai nutrienti sottoforma di grasso bianco. L’obiettivo, oltre all’esercizio fisico, è quello di favorire l’imbrunimento del tessuto adiposo bianco, al fine di trasformare il grasso in energia e permettere all’organismo di riutilizzarlo. Perché questo processo avvenga occorre intervenire, modificando le abitudini alimentari attraverso una dieta personalizzata, basata su quella mediterranea. Attraverso l’assunzione, dunque, di olio extravergine d’oliva e crucifere (cavolo, cavolfiore, broccolo, verza, rucola, rafano, ravanello), piante dalla elevate proprietà antiossidanti.
Ha parlato di microbiota intestinale, che ha definito “organo nascosto”, e della sua importanza non solo per il corretto sviluppo e funzionamento dell’intestino ma anche per la protezione contro l’insorgenza di malattie. Lo stile di vita e l’alimentazione possono modificare il microbiota intestinale?
Certamente! Il microbiota intestinale evolve insieme a noi e deve essere chiaro che cambiamenti nella composizione della sua popolazione di batteri possono avere enormi conseguenze per la nostra salute, in termini sia di benefici sia di danni. Sono stati condotti diversi studi fra microbiota intestinale e metabolismo. Il microbiota inizia a formarsi subito dopo la nascita del bambino e il tipo di parto può modificarlo notevolmente. È il cibo assunto nei primi mesi di vita che può influenzare la tipologia dei microrganismi nell’intestino: bambini allattati al seno presentano un microbiota intestinale totalmente differente rispetto a quelli che ricevono il latte artificiale. Così come i soggetti obesi hanno una flora batterica intestinale differente da quella dei soggetti magri e i soggetti che mangiamo pesce rispetto a quelli che mangiamo solo carne. Una dieta caratterizzata da frutta, verdura e cibi ad alto contenuto di fibre porta ad avere un maggior numero di batteri a livello dell’intestino. Un vero vantaggio, in quanto i batteri della flora intestinale sono in grado di trasformare alcune sostante contenute negli alimenti come i flavonoidi in composti attivi, utili per la prevenzione di patologie come quelle tumorali.
Modificare il microbiota aiuterà a prevenire l’insorgenza di alcune patologie? Servono cambiamenti specifici del microbiota, in base al tipo di malattia, o ne basta uno generalizzato?
Sarebbe utile che ciascuno di noi disponesse di una sorta di profilo genetico del proprio microbiota, al fine di seguire terapie personalizzate che possano modificarlo e poter ottenere effetti benefici per tutto l’organismo. Esiste, inoltre, la possibilità che il microbiota usato nel trattamento dell’anoressia possa avere effetti deleteri per la cura dell’obesità, e viceversa. Solo attraverso uno studio approfondito sarà possibile formulare una terapia personalizzata, analizzando la flora microbica di ogni singolo individuo. Il sogno del futuro è quello di poter identificare la composizione del microbiota più opportuna per ciascun soggetto; recuperare quello più adeguato da una biobanca che conservi le feci dei donatori, studiate in termini di tipologia e qualità dei batteri. Oggigiorno si va verso il trapianto fecale, che consiste nell’infusione, effettuata durante la colonscopia, nel tratto intestinale del paziente di materiale fecale prelevato da un donatore sano. Lo scopo è quello di rimpiazzare l’alterata flora batterica intestinale con una comunità di microrganismi funzionanti. È così che si può avere il ripristino delle normali funzioni del microbiota intestinale.
Può un test genetico rivelarsi utile per la formulazione di diete basate sulla risposta individuale a specifici nutrienti o diete finalizzate alla prevenzione di specifiche patologie, anche tumorali?
Oggigiorno stanno prendendo piede due discipline nuove: la nutrigenetica e la nutrigenomica. La prima si concentra sul modo in cui le varianti genetiche, le differenze nella sequenza del Dna, influenzano la risposta alla dieta; la seconda si focalizza su come la dieta modifica l’espressione genica. Un esempio di nutrigenetica è la presenza di varianti genetiche che determinano la celiachia (intolleranza al glutine) e ce ne sono tantissime altre. Col test genetico si possono identificare le suscettibilità familiari a specifiche patologie. Altri possono essere utili per la formulazione di diete basate sulla risposta individuale a specifici nutrienti: ad esempio, è possibile valutare soggetti che hanno una maggiore predisposizione a ingrassare, in seguito al consumo di grassi saturi, o soggetti che hanno un aumentato rischio di sviluppare ipertensione arteriosa in seguito all’assunzione di elevate quantità di sale.
Qual è il suo consiglio per il miglioramento della qualità della vita da destinare ai lettori di Primo piano e non solo?
Il mio consiglio è cercare di sentire di più il nostro organismo che, in presenza di una data patologia invia una serie di segnali tra cui l’astenia, la difficoltà ad addormentarsi, la riduzione della capacità di memorizzazione o la sudorazione eccessiva. Cercare di conoscere se stessi è l’unico modo per reincontrarsi. Ma è importante, anche, sottoporsi periodicamente ai controlli di screening al fine di prevenire l’insorgenza di specifiche patologie, tumorali e non. D’altronde molto meglio prevenire che curare.