Il mondo stava cambiando ma le BR non lo sapevano

A quarant'anni dall'assassinio dello statista, “55 giorni. L'Italia senza Moro” di Stefano Massini propone un’originale lettura del dramma che più ha segnato la storia del Paese

C’è ancora un modo, a quarant’anni di distanza dall’assassinio, di ragionare attorno ai cinquantacinque giorni di prigionia di Aldo Moro senza ricorrere a tesi complottistiche o svelare presunti segreti di stato.

A dimostrarlo è Stefano Massini e il suo “55 giorni. L’Italia senza Moro”, edizione il Mulino.

55 giorni. L'Italia senza Moro
La copertina del libro “55 giorni. L’Italia senza Moro” di Stefano Massini

Massini di professione fa il drammaturgo: ha assunto il posto di Strehler, al Piccolo di Milano, e le sue pièce sono conosciute anche negli Stati Uniti (una per tutte, la “Lehman trilogy”, che mette in scena la crisi economica dell’ultimo decennio).

Nel suo libro Massini non racconta il calvario di Moro “ma ciò che si muoveva dietro e mentre quei fatti accadevano”.

Propone, per esempio, un inedito paragone tra il capo storico delle BR, Renato Curcio, e lo psichiatra Franco Basaglia, entrambi in lotta contro un sistema ideologico, che tendeva all’esclusione del pensiero non dominante, alla sua negazione e al suo sradicamento violento.

Ma il primo rispondeva con la clandestinità e la lotta armata al sistema di potere costituito, il secondo si batteva per l’inclusione sociale del malato psichico, rendendo il vecchio manicomio una struttura aperta anche alla dimensione sociale.

Due percorsi che danno conto del bivio tra lottare per annientare e combattere per riformare.

Nel libro viene raccontato anche un “profetico” episodio capitato a Francesco De Gregori nel 1976, quando, durante un concerto al Palalido di Milano, un gruppo di sedicenti militanti di sinistra, armati di pistola, costringono il cantautore romano ad un processo pubblico, invitandolo, dapprima, a consegnare il ricavato del concerto, poi, ad offrire un esempio di coerenza suicidandosi.

L’idea del processo al potere costituito prende le mosse dagli editoriali di Pasolini sul Corriere e arriva sin dentro la prigione di Moro, dove l’imputato viene inizialmente sottoposto a domande serrate, ma le risposte del presidente democristiano così piene di politica e così vuote di senso comune debilitano l’interlocutore brigatista la cui voce si fa, via via, meno incalzante e sempre più flebile.

Fino al punto che le BR, in un loro comunicato, riconoscono che il prigioniero può dire quello che vuole ma, per loro, il mondo imperialistico è sufficientemente chiaro e quelle risposte non servono più.

Eppure, Moro sta parlando di Gladio (la rete clandestina anticomunista che verrà svelata solo negli anni ‘90), dei rapporti tra Italia, Stati Uniti e mondo arabo, del modo di governare democristiano teso sempre e comunque a smussare gli spigoli.

Ma nel libro di Massini c’è molto altro che in gran parte lasciamo alla curiosità del lettore.

Persino la storia della rivalità nel ciclismo tra Moser e Saronni, come metafora del rapporto tra restaurazione e rivoluzione. E, ancora, Rino Gaetano e la sua hit dell’epoca, “Gianna”, fantasmagorica colonna sonora del sequestro, sino al personaggio televisivo più famoso del tempo, la piccola Heidi che ripudia il suo nome di battesimo e sceglie di non chiamarsi Adelaide come vorrebbe la sua istruttrice Rottermaier.

La tesi del libro è che mentre il mondo si apre al nuovo e i più illuminati cercano di introdurre nuovi diritti civili e sociali, un gruppo di uomini e donne si isola e decide di scegliere la lotta armata come estrema ragione dell’esistenza, disintegrando le proprie vite e quelle altrui.