8 maggio. Festa della seconda apparizione dell’Arcangelo Michele, che libera Siponto dall’invasione degli Eruli, grazie alle preghiere ordinate dal vescovo Lorenzo Maiorano. Siamo nel lontano 493.
Secondo la tradizione nasce in quella data il culto micaelico che da Siponto e dal Gargano si diffonderà in tutta la Puglia, alimentando devozioni e pellegrinaggi che vedranno coinvolti verso quei luoghi santi, papi, vescovi e tantissimi semplici devoti, anche dalla nostra Bitonto.
Ho vissuto indirettamente, da ragazzo, la “festa” annuale della compagnia a piedi di San Michele.
Angelina, una nostra dirimpettaia, ci rendeva partecipi di questo rito che cominciava agli inizi di maggio con la preparazione al viaggio verso il Monte. Sì, perché il Monte, per Angelina, come per tanti suoi compagni di viaggio, è come la Bibbia: c’è un solo monte (il Gargano), c’è un solo libro, appunto la Bibbia.
Poche cose da portare con sé: una piccola bisaccia, del buon pane fatto in casa capace di rimanere commestibile per alcuni giorni, una vecchia borraccia di alluminio coperta di stoffa, magari ereditata, ottime gambe e via… Angelina era una donna rude, bruciata dal sole e rinsecchita dal duro lavoro dei campi, alta non più un metro e cinquanta, lineamenti decisi, carattere forte. La sua partenza verso un luogo lontano, ancora più perché sconosciuto, era qualcosa di misterioso e affascinante insieme. Quella donna riusciva a suscitare in me un senso di profonda ammirazione, come se fosse detentrice di un segreto di cui solo lei fosse partecipe.
E si andava verso l’ignoto, l’arcano, in ogni caso verso qualcosa di straordinariamente bello e grande. Poi un vuoto di alcuni giorni in cui ascoltavo il marito, uomo alto e asciutto, piuttosto casalingo, ripetere: oggi sono all’Incoronata, a quest’ora a Siponto, ora a San Leonardo, ora sotto il Monte, ora stanno salendo. Ed è duro salire. E immaginavo il passo lento e stanco della fila dei nostri pellegrini arrampicarsi verso la cima per mulattiere ripide atte ai quadrupedi più che agli uomini. Ma è la più breve, su di essa si cammina con il sasso, segno di penitenza, che ciascuno ha preso con sé ai piedi del sacro monte; si va avanti con caparbietà cantando e soffrendo, ma con più lena.
La meta è ormai prossima. La fatica troverà la sua ricompensa. Ed ecco stagliarsi da lontano la sagoma del paese, le case ben allineate, in fila, su piani diversi, il campanile e poi, passo passo, l’agognata vista del Santuario, ove il masso viene deposto e consegnato al “Santo”.
La fila si ricompone, così come si ricompongono i vestiti, si acconciano alla meglio i capelli e si affronta la scala santa, percorsa spesso in ginocchio, si tocca la porta bronzea che risuona del tocco di migliaia di mani di pellegrini. La grotta, gli occhi lucidi che s’incrociano con quelli vitrei e fermi della statua del Santo. Una preghiera, un’invocazione, una grazia che si richiede, un voto che si scioglie per grazia ricevuta. Poi, venduti all’asta il labaro e le lanterne, consegnato al Padre Priore l’olio bitontino per la lampada che brucerà tutto l’anno, si potrà essere un po’ più liberi, girare per il piccolo paese, comprare il ventaglio di cartone con l’effigie di San Michele e dell’Incoronata, un fischietto di creta per il nipotino “u ciciue”, la statuetta di San Michele nel migliore dei casi. Qualche ora di pausa, una colazione non fatta in fretta questa volta e, quindi, pensare al ritorno.
Si sono aggiunti nel frattempo alla compagnia quanti sono arrivati al Monte con i carri trainati da muli e cavalli, quanti non hanno potuto fare tutto il percorso a piedi e sono stati soccorsi da quella rudimentale autoambulanza utilizzata come rifugio notturno. Liberato dall’animale, il traino era fatto scivolare in alto e coperto nella parte antistante, a mo’ di tenda, con i medesimi teloni che hanno visto gli stessi visi chinati alla raccolta delle olive.
Vissuto qui a Bitonto come un trionfo, il ritorno. dopo otto giorni dalla partenza, coincideva con la processione del santo. Il primo avviso, il secondo. il terzo con il lancio di qualche bomba carta. Ed ecco spuntare dalla via di Terlizzi, l’antica Traiana, la compagnia a piedi, seguita dalla carovana dei carri agricoli e preceduta da una lunga serie di biciclette colme d’ogni parte di penne e piume multicolori. Sono il segno dell’Angelo Michele, come era distintivo per i pellegrini che si recavano a San Giacomo di Compostela una conchiglia, o per chi si recava in Terra Santa una croce appuntata sul mantello.
Angelina, ancora più magra di prima, più rude, perché bruciata dal sole, ma più felice. Anche per quest’anno è fatta. San Michele le sarà di viatico per tutto il tempo che trascorrerà fino al prossimo pellegrinaggio.
La compagnia avanza preceduta da una croce inserita in un’edicola di velluto rosso, due lampari l’affiancano, le fatidiche campanelle dal suono diverso ritmano il classico motivo ripetuto da centinaia di bambini: dlin-dlin, dlon,dlon. Voci rauche e stanche intonano gli antichi canti devozionali Il procedere lento e ritmico permette alla gente e alla folla dei bambini, scappati di casa appena avvertiti dai genitori del ritorno in città della compagnia a piedi, di accalcarsi al margine della strada. La compagnia si raccoglie attorno alla chiesetta di San Michele fuori città, diventa più ordinata nel procedere, porta il trofeo delle penne dell’Angelo, penne variopinte e colorate, piume che adornano biciclette e carri, macchie di colore sulla strada polverosa e bianca che più tardi sarà coperta dal plumbeo dell’asfalto.
Si va verso la chiesa titolare del santo in Bitonto dopo aver reso omaggio all’Immacolata, patrona della città a Porta Baresana. Le stradine del centro antico si animano più del solito. La chiesa è colma di popolo per il canto delle litanie di ringraziamento.
Si passa, quindi, dalla casa del priore: Sannicandro, Cannito ottime guide, prestigiosi condottieri di quella milizia di pellegrini che da secoli ripercorrono le antiche strade battute dai loro antenati.
Si portano in trionfo i priori, si ringrazia San Michele per il buon esito del viaggio e mentre qualche mortaretto scoppietta nella stradina accanto, ci si ripromette solennemente di ritrovarsi ancora, fra un anno.
Il pellegrinaggio a piedi ora è quasi un ricordo. I tentativi per ricompattarlo, dopo alterne e dolorose vicende, non hanno ottenuto lo scopo desiderato. Il pellegrinaggio oggi assume nuove forme. È certo meno faticoso. I mezzi di trasporto consentono di spostarsi più velocemente e raggiungere più santuari con un unico cammino.
Ma il senso del pellegrinaggio, del cammino alla ricerca di qualcosa o Qualcuno, non cambia.