Il bosco? Il luogo migliore dove fare lezione

Un seminario organizzato dalla facoltà di Scienze della formazione primaria dell’ateneo barese interroga insegnanti e studenti sul verde come luogo educativo

Di scuola si sente parlare, ormai, solo quando gli studenti scioperano, quando ci sono appuntamenti imperdibili (a meno di settanta giorni dagli esami di maturità, il nostro sincero in bocca al lupo, liceali!) o quando qualche licenza a sfondo sessuale turba la serietà e l’integrità morale dell’istituzione.

Per il resto, sembra regnare un gran silenzio in quei luoghi – le scuole – destinati al parcheggio tanto degli adolescenti quanto dei bambini, dove ciò che si distribuisce, non di rado, sono dosi pesanti di demotivazione. E, nei casi estremi, incentivi addirittura al suicidio, tra lo stupore del collegio dei professori, i quali, a fatto avvenuto, dicono, con le loro facce stupefatte, che nulla lo lasciava presagire, ovvero a quei fenomeni di violenza impulsiva, che si esprime attraverso i gesti, che siamo soliti etichettare come “bullismo”.

Finalmente, in controtendenza a questa mortificante litania, una bella occasione di approfondimento e confronto: parliamo di un seminario, svoltosi presso il Palazzo Chiaia Napolitano, nell’aula “M. Montessori”, pensato e organizzato da alcuni docenti della facoltà di Scienze della formazione primaria dell’università di Bari.

Significativa e attuale la tematica sin dal titolo (“La scuola nel bosco. Didattica, natura, educazione”), che ha permesso ad alcuni docenti di scuola primaria e studenti universitari, assieme ai tutor del tirocinio, di riflettere sulle evoluzioni degli attuali sistemi educativi e sulle future prospettive di ricerca pedagogica.

Il seminario ha la sua fonte d’ispirazione in un metodo didattico piuttosto recente, introdotto dal maestro Danilo Casertano, promotore della “Pedagogia dei talenti”. Centrato su una didattica inclusiva e all’aperto rispetto agli spazi angusti delle aule scolastiche, il metodo cerca di avvicinare i bambini alle esperienze pratiche e manuali in un contesto, la natura, che permetta loro di esprimere al meglio le loro potenzialità e curiosità. Doti, queste ultime, quanto mai essenziali per la formazione generale dell’essere umano.

“Riavvicinare le famiglie alla scuola deve essere il primo obiettivo da raggiungere per scuola e università. Servono adulti che esercitino il ruolo di figure responsabili e autorevoli nei confronti del propri figli, altrimenti, complice un rapporto di tipo contrattuale, vien meno ogni possibilità di dialogo fra gli educatori scolastici e i genitori”, ha esordito Giuseppe Elia, coordinatore del corso di laurea a ciclo unico in Scienze della formazione primaria.

“Non perdiamo le tracce del cammino finora percorso e, soprattutto, non demoliamo quelle diverse forme di talento e intelligenze che, uniche, ci possono salvaguardare da un modo di pensare esclusivamente funzionale e produttivo”, prosegue il docente.

Perentoria, dunque, l’esortazione a mettere da parte quei luoghi comuni che, espressi in forme possessive (“la mia classe”, “i miei bambini”), minano alle fondamenta ogni possibilità di incontro e collaborazione anche fra colleghi di uno stesso istituto. Solo così, in seconda battuta, è possibile costruire una comunità solidale e radicata sul territorio, evitando di farci trovare impreparati per “un’educazione allo sviluppo sostenibile, esplicitata da alcuni dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030: migliorare l’istruzione e ridurre la povertà e l’esclusione sociale”, ha chiarito.

La dott.ssa Eleonora Vera, tutor organizzatrice del tirocinio formativo, è, invece, intervenuta sulla necessità di “utilizzare in maniera flessibile gli spazi tradizionali, quali le aule scolastiche, e quelli aperti, in specie l’ambiente circostante”, cercando di “mettere in pratica approcci operativi alla conoscenza a trecentosessanta gradi: scientifica, tecnologica, musicale, sportiva, linguistica, comunicativa”.

È nel paesaggio educativo “non solo quello fisico, ma anche virtuale, mentale, culturale e, soprattutto, affettivo che il bambino si sente amato, si muove in uno spazio pienamente libero e si incuriosisce delle proprie capacità e virtù”, ha precisato la docente.

“Solitamente, sui cartelloni delle pareti scolastiche, troviamo categoricamente prescritti tutti quei divieti che limitano ogni libertà di movimento e di azione dei ragazzi, laddove, in questo piccolo pezzo di mondo che è la scuola, penso vada semmai messo nero su bianco ciò che al bambino non è vietato fare: da giocare a palla a salire sugli alberi a giocare con l’acqua, da ridere a crepapelle a urlare di gioia, sino, perché no?, a sporcarsi e a saltare nelle pozzanghere”, ha affermato Caterina Losito, studentessa della facoltà di Scienze della formazione primaria.

Losito ha raccontato la propria avventura di tirocinio formativo in un istituto scolastico di Ostia, lo scorso maggio 2017. Ripercorrendo “un’esperienza oltremodo formativa”, dalla programmazione del lavoro in classe alle attività didattiche, alle attività pomeridiane fino alla rievocazione di una giornata alla scoperta della scuola del bosco, passando per la valutazione finale degli apprendimenti e della crescita dei piccoli, la studentessa ha ribadito: “Solo trasferendo, con appropriate strategie educative, gli apprendimenti dagli steccati ristetti dell’aula scolastica all’ambiente, è possibile raggiungere quel necessario e atteso punto di svolta culturale nella formazione degli alunni”.