Il liceo classico? Ma certo che ha un futuro!

Un saggio del prof. Michele Napolitano fa giustizia di tanti luoghi comuni, restituendo giusta dignità all’insegnamento umanistico

Urgeva una lucida disamina della questione relativa al futuro delle lingue classiche nell’insegnamento scolastico. Una questione vivissima, quella della vitalità delle lingue classiche. Da tempo, ormai, si discute sulla valenza dello studio del latino e del greco: un tema di dibattito che sta allarmando la maggior parte degli antichisti italiani.

Ai detrattori delle lingue classiche, a coloro i quali giudicano il mondo antico poco utile alla formazione degli alunni e dei cittadini del XXI secolo, rispondono studiosi ai quali latino e greco, e in generale il concetto di classico, risultano invece vivissimi e utilissimi.

È recentissimo, maggio 2017, il volumetto edito dalla Salerno editrice, dal titolo “Il liceo classico: qualche idea per il futuro”, a cura di Michele Napolitano, professore di Letteratura greca all’università di Cassino e del Lazio meridionale.

Davvero interessante l’analisi sulla questione “vitalità o meno del liceo classico”. In un’era tecnologica, dove regna l’assolutismo dei social, è diventato per qualcuno ormai quasi inutile interrogarsi sulla validità delle lingue antiche, giudicate, a torto, morte. E con esse, anche lo stesso liceo classico.

L’attenzione primaria, secondo l’autore, va focalizzata sullo studio e sull’uso della lingua, così come sulle basi di una buona traduzione dal greco. Napolitano lamenta poi la scarsa attenzione attribuita alla comprensione della sintassi. Oggi si traduce quasi meccanicamente; il procedimento di trasposizione è diventato un passo, noioso e inutile, per raggiungere l’obiettivo della licenza scolastica.

Di questo passo, il liceo, sentito come scuola preparatoria e “difficile”, rischia di sfornare studenti disinteressati e poco preparati. L’esercizio della traduzione deve essere alla base della capacità critica dell’alunno, al di là delle sue propensioni verso le scienze umane o matematiche. Si dice spesso che il latino e il greco siano discipline che allenano la logica alla pari di fisica e matematica. Se non attraverso la traduzione che contempla la comprensione morfologico-sintattica, come si può affinare lo spirito critico dell’alunno?

Al di là di questa problematica, Napolitano si sofferma, inoltre, sullo scarso studio della storia. Ogni testo, greco o latino che sia, ha alla base un evento storico: se non si insegna adeguatamente la storia, si rischia di vanificare l’impegno nella interpretazione e comprensione di un testo antico.

Gli alunni dovrebbero essere preparati, poi, a letture extrascolastiche. E invece la lettura è diventata opzionale. Napolitano offre una lista di libri da consigliare a una classe liceale; volumi che possono far crescere gli studenti, acuendo la loro sete di conoscenza e rinforzando le loro basi. Un mondo senza libri è un mondo privo di vita.

Come affermava Umberto Eco: “chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito, perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.

Di certo, le letture devono essere mirate. L’insegnante deve scegliere le letture adatte alla propria classe, propedeutiche alle proprie discipline.

In questo saggio, insomma, critico e passionale, Napolitano offre diversi spunti per un proficuo insegnamento delle lingue antiche. La traduzione e l’insegnamento della storia sono beni primari per latinisti e grecisti. La traduzione non va persa per la semplificazione dei programmi e della stessa scuola.

“Perché non la abbia vinta, soprattutto, chi pensi che una scuola facile sia preferibile a una scuola difficile, perché solo una scuola che sappia continuare a essere difficile potrà essere in grado di garantire adeguata remunerazione ai meriti individuali in una prospettiva davvero egualitaria”, spiega lo stesso Napolitano.