Un gesto (coraggioso) d’amore per la poesia

Serena Di Lecce, trentatreenne barese, apre “Millelibri”, la prima libreria del capoluogo dedicata esclusivamente agli appassionati dei versi

Ci sono gesti che necessitano della forza propulsiva del coraggio per essere compiuti. Il coraggio dettato dal desiderio di compiere uno scarto, di andare oltre il senso che si è costituito. In sé audace è lo stesso anelito, di cui a nutrirsi è il gesto poetico. Dirompente, la poesia entra nelle cose, ne disvela l’essere lasciando lo spazio al non detto.

Di coraggio ne ha da vendere Serena Di Lecce, che ha deciso di aprire, a Bari, una libreria dedicata alla sua più grande passione: la poesia. Trentatreenne barese, alle spalle una serie di lavori fatti per vivere, ha pensato di realizzare un progetto che aveva in mente da tempo: “Una cosa che ho sempre voluto fare”.

Sfidando il senso comune, Serena afferma: “La poesia è un settore della letteratura che tutti dicono non avere mercato. Io posso giurare che non è così!”. Al numero 16 di via dei Mille, Serena inaugura la sua libreria, chiamandola, non a caso, “Millelibri”. Un luogo ameno dove, su antichi scaffali, poggiano tanti volumi. Irrefrenabile è il desiderio di mettersi comodi a leggere.

Perché proprio in via dei Mille?

C’è un motivo fondamentale: abito in via dei Mille. Ho scelto un luogo comodo che mi permettesse di raggiungere facilmente mia figlia di soli due anni e mezzo. Mi piaceva la possibilità di vivere la dimensione casa e bottega. San Pasquale è un quartiere che, pur essendo vicino al centro della città, allo stesso tempo, conserva aspetti antichi, tradizionali. Non ci sono vie propriamente commerciali ma vie dove, ancora, si trovano gli artigiani.

Uno spazio dove il tempo sembra essersi fermato…

Ritengo che non sia semplicemente una forma di stasi. È una forma di resistenza. Per quanto oggi sia facile e immediato l’accesso ai beni di consumo, qui l’artigianato continua a esistere. Oltretutto è un quartiere pieno di mercatini dell’usato. In questo contesto mi è sembrato perfetto inserire una libreria che trattasse anche l’usato e che si occupasse di qualcosa, come la poesia, che è, essa stessa, tutta da recuperare. Ho scelto di vivere e lavorare qui.

Oltre l’aspetto meramente economico, che valore hanno i libri usati?

Ci sono dei bibliofili i quali ritengono che il libro abbia valore nel momento in cui resti intatto, come appena uscito dalla tipografia. C’è anche un’altra possibilità che è quella di valutare un libro considerando il “vissuto” un valore aggiunto. Ci sono delle edizioni che non valgono nulla dal punto di vista del bibliofilo, libri venduti a quattro soldi, tutti rovinati, ma che conservano tracce del suo attraversamento nel tempo, come annotazioni o, per esempio, ritagli di giornale che rendono l’oggetto unico e insostituibile.

Chi sono i lettori di Millelibri?

Il pubblico di questa libreria è molto vario: dai diciottenni che mi chiedono un consiglio su come cominciare, per avvicinarsi alla poesia, a ultrasettantenni che vengono qui ritrovando quell’idea di libreria che dà spazio prevalente al libro e all’approccio silenzioso che avvicina il lettore a sé stesso. In generale sono donne e uomini che coltivano la poesia come interesse personale, anche se non hanno fatto studi letterari. Mi capita, spesso, di incontrare delle persone che non sono dei letterati, ma tutt’altro, magari medici, avvocati, architetti.

Secondo te cosa cercano nella poesia?

Riconoscendo il potenziale del linguaggio poetico, forse cercano la possibilità di guardare la realtà in maniera differente. Quindi un modo per sedersi un attimo a riflettere. Guardare le cose in maniera più approfondita è ciò che, necessariamente, comporta la poesia. Poi ci sono anche gli appassionati di libri, i bibliofili che si interessano alla storia dell’editoria. Ognuno cerca quello che vuole in un libro. Diciamo che chi legge poesia probabilmente lo fa per il desiderio di compiere uno scarto per “entrare” nelle cose. Almeno, questo è quello che cerco io.

Gli autori più richiesti?

I classici. Molti desiderano rileggerli. Spesso chiedono Neruda. In generale vengono richieste quelle poesie che appartengono al proprio repertorio di autori e autrici conosciuti. Le vai a ripescare nel momento in cui decidi di riavvicinarti a questa forma di scrittura. Mi è stato richiesto tantissimo Rocco Scotellaro, un autore lucano che, attualmente, nell’edizione omnia non è facilmente recuperabile. Forse è stato il più richiesto, c’è un grande bisogno di leggere Rocco Scotellaro.

Ti sei chiesta il perché?

Molti appassionati di poesie, i cultori, non vanno a caccia dell’autore di grido. C’è un discorso quasi rovesciato rispetto a ciò che accade per la narrativa, dove spesso si cerca l’autore di cui più si parla, quello che ha vinto più premi, quello più visibile. Gli appassionati di poesia, devo dire anche molto giovani, ricercano l’autore sconosciuto, quello dimenticato o quello di cui non si trovano più i libri. C’è una ricerca della parte dimenticata. Questo è proprio della poesia in generale: è come se fosse sempre disponibile, è un repertorio che non perde di valore. Scotellaro è stato, a mio avviso, un grande poeta. Ha avuto una vita molto breve, quindi non ha avuto tempo di affermarsi nei salotti della letterarietà. Però ha raccontato una realtà molto particolare, con una voce molto forte, molto sua e, quindi, non mi sorprende il fatto che si ascolti ancora quella voce.

Cosa racconta la poesia?

La poesia racconta tutto. Ci sono tantissimi tagli, tantissimi generi. La poesia non parla solo a un certo pubblico o solo di determinate cose. È soprattutto un modo di usare il linguaggio.

Cosa si riceve dalla poesia?

La possibilità di avere un’esperienza diversa: l’economia che regola la grammatica della nostra comunicazione viene in qualche modo sabotata, per forza di cose. Ti trovi di fronte a una piccola rivoluzione che apre dei buchi, che proprio rompe; e in quelle faglie puoi trovare delle cose diverse, anche dei sensi diversi. Si sprigiona del senso in più. La lettura di un libro è una forma di esperienza che entra a far parte del nostro bagaglio di vita.

Il tuo primo incontro con la poesia?

Ero piccolissima. Mio nonno aveva una libreria, quella che vedi qui (Serena indica la libreria alla mia sinistra, ndr), dove era riposto un cofanetto con dei micro libri. Erano dei classici: c’era Manzoni, Leopardi, Foscolo, Tasso e l’altro… sarà stato Ariosto. Mi ricordo benissimo: ero seduta a terra, quando venni attirata da questo Leopardi. Sfogliando il libricino mi ritrovai a leggere “A Silvia”: ne rimasi folgorata. Ricordo che stavo lì a leggermi il libro, questa poesia e a cercare di comprenderla. Da quel momento in poi ho sempre continuato così.

Scrivi poesie?

Ho scritto. Ora non sento l’esigenza della pubblicazione. Credo che chi pubblica lo faccia per un’urgenza. Sacrosanta è la scrittura personale; è anche terapeutica. Pubblicare significa stabilire a monte che ciò che tu hai scritto può avere valore per qualcun altro. Questa è l’urgenza della pubblicazione, dire qualcosa anche a qualcun altro. Sarà perché ho molta familiarità con la poesia e con l’editoria, ma non mi azzarderei a pubblicare nulla, se non spinta da questa motivazione forte. L’ho avuta in passato. Ho pubblicato una volta. Da dieci anni non sento più questa esigenza.

Di cosa hai scritto?

Ho scritto della mia generazione, anche in relazione a quella passata, rispetto alla quale sentivo un forte scollamento. Era anche un momento particolare: siamo una generazione di gente che emigra, vedevo le persone intorno a me andar via, relazioni disfarsi per questo motivo. Avevo bisogno di parlare con la mia generazione per trovare un punto comune. Cosa che poi non è mai accaduta, ma in generale. L’unica cosa che ci accomuna è questa frammentarietà; in fondo il noi non c’è mai stato davvero. Questa era una cosa di cui sentivo la nostalgia in un momento in cui ero molto giovane. Avevo circa 20 anni.

Cosa accomuna i poeti di tutti i tempi?

Forse una forma mentale particolare, che non saprei assolutamente decodificare: è un modo di ricevere i segni dalla realtà in modo strano e combinarli in un modo altrettanto strano. Penso che questa sia un’attitudine.

Gesto coraggioso il tuo. Cosa ti aspetti che possa portare?

Spero che porti qualcuno a leggere poesia. È bello poter condividere, in uno spazio fisico, un interesse forte. È bello poter fare due chiacchiere su qualcosa – la lettura, che ha che fare con il silenzio, con l’interiorità – di cui però è possibile condividerne gli effetti. Questo rende tutto molto più interessante.