Proviamo a ricapitolare ciò che è accaduto negli ultimi due mesi riguardo alla politica italiana.
Com’era prevedibile, considerata la legge elettorale in vigore, il paese si è diviso in tre fazioni: un partito/movimento (i grillini) e due coalizioni (una di centrodestra e una di centrosinistra).
Complessivamente il numero dei parlamentari del centrodestra è superiore a quello degli altri partiti/coalizioni ma il rassemblement non è autosufficiente e neppure coeso, atteso che, come già emerso alla vigilia dell’elezione dei presidenti delle camere, Berlusconi non accetta di fare l’azionista di minoranza.
Di qui il tentativo, per il momento riuscito, di minare alle fondamenta l’idea di Salvini e Di Maio di un governo dei vincitori.
Il tycoon di Arcore mai accetterà di portare in dote alla Lega le sue truppe senza conservarsi un ruolo da protagonista.
La coalizione di centrosinistra (il Pd e gli scarni cespugli), pur ridotta dal punto di vista dei numeri parlamentari, potrebbe essere determinante per dare un governo al nostro paese, in quanto alleandosi con gli uni o con gli altri garantirebbe la maggioranza in parlamento al nuovo esecutivo.
Ma Renzi, ancora oggi leader di fatto dei democratici, non ha nessuna voglia di contrattare alleanze, avendo in mente una precisa strategia: lasciar fare ai vincitori delle elezioni e raccogliere i frutti della loro azione o, più probabilmente, della loro inerzia politica.
Male che vada il politico di Rignano preparerà il progetto di un nuovo partito centrista, a cui potrebbero accodarsi le truppe di Berlusconi.
Il movimento Cinque stelle, ad oggi, appare lo schieramento politico che ha più ricercato una soluzione per il governo dell’Italia, probabilmente consapevole che il risultato elettorale ottenuto il 4 marzo è irripetibile e, quindi, va valorizzato nell’immediato.
Di qui le offerte, per il momento senza esito, a Salvini prima e al Pd poi, di un contratto di governo sul modello tedesco Spd-Cdu.
Tutti dimenticano o fingono di non ricordare, tuttavia, che, al di là delle forze politiche in campo, sarà il presidente della repubblica a pronunciare l’ultima parola nella gestione della crisi.
Certo Mattarella non ha il piglio decisionista di Napolitano ma ha l’indubbia capacità, tutta democristiana, di far emergere, da sé e senza forzature, soluzioni politiche praticabili.
Siamo sicuri che, prima di sciogliere il parlamento, l’inquilino del Quirinale tenterà comunque di formare un governo che cercherà direttamente nelle neocostituite camere una maggioranza. Le aule parlamentari potrebbero essere fonte di sorprese, tenuto conto che la chiusura anticipatissima della legislatura imporrebbe una nuova campagna elettorale e il forte rischio della mancata elezione di alcuni esponenti da poco ascesi al rango di parlamentari.