“Formare le coscienze, il compito più alto di chi insegna”

L’ex preside bitontino Filippo Rucci spiega l’importanza di una scuola che sia "fucina di ricerche" ma, soprattutto, di ideali e valori

La nostra inchiesta sul mondo della scuola, tra ieri e oggi, prosegue con l’intervista al prof. Filippo Rucci, bitontino, presidente della scuola di formazione politica “Città dell’uomo” e, sino al 2010, preside dell’istituto secondario di primo grado “Anna de Renzio”.

L’intervista a Rucci segue quelle ai docenti Nicola Piglionica, Mariolina Rutigliano e Giuseppe Naglieri, che ci hanno offerto stimolanti e interessanti spunti di riflessione sulla qualità dell’insegnamento e l’approccio agli studenti, quando le scuole non erano ancora alle prese con alcune caotiche e discutibili novità, introdotte più di recente dai nuovi ordinamenti.

L’esordio di Filippo Rucci nell’universo scolastico risale ai tumultuosi anni ‘60, al 1968 per l’esattezza. Giovane insegnante di lettere, dovette, tuttavia, allontanarsi presto dalla cattedra per prestare servizio militare.

Abbandonata la divisa (non condivideva molte delle “regole” dell’ambiente e, soprattutto, non poteva ignorare la sua vocazione all’insegnamento), il prof. Rucci fece ritorno a scuola, insegnando prima al liceo classico “Orazio Flacco” di Venosa, poi alla scuola media “Buonarroti” di Giovinazzo.

Com’è stata l’esperienza degli anni trascorsi a Giovinazzo?

Davvero formativa ed entusiasmante. Il mio preside era convinto che la scuola dovesse essere una “fucina quotidiana di ricerca”. Io ricoprivo un ruolo di rilievo, di intermediario tra docenti e alunni nel compito di sollecitare e indirizzare questo importante impegno verso l’approfondimento culturale. Quando noi docenti eravamo alle prese con la scelta dei libri di testo, il preside ci faceva notare che il libro migliore era quello che un professore scrive quotidianamente con i suoi alunni. Era, inoltre, fermamente convinto che fosse deleterio rimandare gli alunni a fine anno. Era più opportuno che il professore cogliesse le carenze di ciascun ragazzo all’inizio della scuola e che sapesse indirizzarlo verso un progressivo miglioramento, per l’intero anno. Tra corsi di recupero, consigli di presidenza con i genitori, per un supporto anche materiale agli alunni in difficoltà, e iniziative di ogni sorta, quella era una scuola molto attiva, perfettamente sincronizzata sulle frequenze di Don Milani, che rese la scuola finalmente inclusiva e non più selettiva. Un’esperienza decisiva che ha dato una forte impronta alla mia carriera di insegnante, prima, e di dirigente scolastico poi.

Lei è stato preside della media “de Renzio”. Una scuola diversa da quella di Giovinazzo?

Giunto a Bitonto, fui sorpreso nel constatare una situazione molto particolare. C’era una gran confusione, sia tra i docenti sia tra gli alunni.

Dal 1975 ho impostato il sistema scolastico a una didattica seria, che non prevedeva ingressi posticipati o uscite anticipate, né abuso dei diritti sindacali e nemmeno assenze. Gli insegnanti dovevano dare il buon esempio e gli alunni, vedendo che i propri docenti non si assentavano mai, venivano a scuola anche con la febbre. Come in realtà è stato. La scuola iniziò a essere avvertita dai ragazzi come vita, attrazione. Avevano capito che l’austerità era puro amore nei loro confronti.

Come pensa sia cambiata l’istituzione scolastica nel corso degli anni?

Negli anni ‘70 c’era un grave fenomeno di evasione scolastica. Oggi non è più così, e anche per questo ci sono più problemi da gestire. Ritengo che a prescindere da tutto, ognuno deve fare quanto in suo potere per migliorare le cose. Col tempo, quella scuola caotica che era il “IV gruppo” si è risollevata.

I ragazzi di una seconda, lettori voraci, furono mandati a Torino in occasione della Fiera del libro. Lì, furono sottoposti a numerose prove, mostrandosi tal- mente preparati da meritare la vittoria. Fu un grande trionfo, degli alunni, dei docenti, della scuola tutta. Altri progetti ci hanno resi particolarmente orgogliosi della nostra scuola, come la compilazione di ricerche, studi sul territorio compiuti dagli stessi ragazzi, e che hanno preso la forma di veri e propri volumi. I libri Volti, profumi e colori della mia regione, Bitonto in cammino verso la Costituente, I Pugliesi e la Puglia alla Costituente e Bitonto verso l’unità d’Italia sono il frutto di un lavoro collettivo, il risultato dell’impegno appassionato di alunni e docenti, in collaborazione con l’Istituto di Storia Contemporanea di Foggia.

Quali sono le condizioni che consentono a un dirigente di svolgere bene il proprio lavoro?

Senza dubbio la collaborazione dei docenti. Oltre a Bitonto, sono stato preside anche in altre due scuole, a Valenzano e Modugno. Grazie all’aiuto degli insegnanti riuscii a trasformare quegli istituti in ambienti più stimolanti e accoglienti. Tant’è che il numero degli alunni aumentò vistosamente. Si istituivano nuovi corsi, per una scuola davvero a tempo pieno. Avevamo anche il nostro coro e la nostra orchestra. L’obiettivo era quello di creare una scuola attiva e aperta al territorio. Certi giorni, i cancelli della scuola chiudevano a mezzanotte. Per svolgere bene il proprio lavoro, un dirigente deve anche conoscere i ragazzi della sua scuola, parlare con loro, venire incontro alle loro esigenze, essere presente nel momento della valutazione.

In che cosa, secondo lei, la scuola d’un tempo differiva in meglio rispetto a quella attuale?

Non credo sia giusto sostenere che prima la scuola fosse migliore rispetto a oggi. La più grande differenza, sta nel fatto che ai giorni nostri gli enti erogatori del sapere si sono moltiplicati, ma alla maggior quantità è seguita una minore qualità. Resta sempre valido, ovviamente, il principio che occorre mantenersi sempre aggiornati, non smettere mai di imparare. Salvemini diceva: “Ci si laurea per finire di studiare”. Oggi, invece, ci si laurea per iniziare a studiare.

Oggi lei è presidente della scuola di formazione politica “Città dell’Uomo”. Ritiene che i temi della politica debbano avere un ruolo centrale nella formazione degli studenti?

Come si evince dai tanti progetti portati a termine quando ero preside alla “de Renzio”, ho sempre pensato che i ragazzi dovessero imparare a conoscere la Costituzione. La preoccupazione principale di ogni docente dovrebbe essere quella di far capire ai ragazzi che c’è una legge che sovrintende alla loro vita; una legge che va rispettata, conosciuta, amata. I principi della Costituzione non sono qualcosa di astratto, di estraneo alla vita di tutti noi. La scuola di formazione politica, di cui sono presidente, si propone di aiutare i giovani a conoscere la Costituzione, affinchè possano amarla e sentirla come parte della propria identità. Formare le coscienze, oltre che arricchire il bagaglio culturale degli studenti, è davvero il compito più alto a cui la scuola è chiamata.