Francesco Brandi, consigliere comunale di maggioranza, è il nuovo presidente di Città Democratica. È quanto risulta dal secondo congresso dell’associazione politico-culturale, nata ormai più di dieci anni fa e diventata col tempo una delle liste civiche più attive a Bitonto nella ridefinizione di un’idea di politica alternativa a quella dei partiti tradizionali. Un obiettivo perseguito coinvolgendo la cittadinanza, in particolare gli elettori del centrosinistra, nella cui area di valori Città Democratica si colloca, in una serie di incontri ed iniziative che hanno stimolato la riflessione su temi caldi della realtà locale e nazionale, favorito l’analisi dei cambiamenti in atto nella società e nelle forme di rappresentanza politica, generato dibattiti e approfondimenti.
Senza tralasciare gli sforzi profusi per la riapertura del dialogo con le altre forze progressiste, in particolare con il Partito Democratico, cui il movimento ha sempre guardato come “partito di riferimento della sinistra”, capace ancora di costituire un “presidio di democrazia” e di “resistere e controbilanciare il rischio di derive populiste e rigurgiti fascisti” (così recitavano alcuni passaggi di una nota di qualche mese fa). Arrivando a sostenere pubblicamente il partito di Renzi, Martina e Delrio in occasione delle ultime consultazioni nazionali.
Abbiamo approfittato dell’occasione fornita dalla recente elezione, dunque, per parlare con il consigliere e neopresidente degli argomenti particolarmente cari alla realtà politica che è chiamato a rappresentare.
Partiamo dalle elezioni nazionali. Si aspettava quei risultati? A cosa ritiene di poter ricondurre la disfatta del Partito Democratico, che Città Democratica ha ufficialmente sostenuto?
L’esito delle votazioni rispecchia grossomodo quanto mi aspettavo e lo sfacelo del fronte di sinistra è tutto sommato comprensibile. Ma si tratta di una bocciatura di quelle che fanno bene, che aiutano a rimettersi in gioco. E questo riguarda sia Liberi e Uguali, che ritengo un tentativo capriccioso e falsamente innovatore, che il Pd. Anche se per quanto riguarda i democratici più che parlare di bocciatura sottolineerei che sono stati danneggiati dalla loro stessa politica, che ha generato divisioni ed eccessiva litigiosità interna.
E l’exploit della Lega?
Non mi aspettavo un tale sorpasso ai danni di Forza Italia. Ovviamente non condivido nulla della Lega ma comprendo che le preferenze accordategli assomigliano a quelle rivolte ai 5 stelle. È interessante la polarizzazione che si è venuta a creare tra Nord e Sud, che denota, a mio parere, una certa immaturità politica da parte dei votanti meridionali, pronti ad affidarsi ad un movimento all’interno del quale percepisco molta irresponsabilità. Più di quanta ne intravedo nella Lega, che almeno ha un’idea di cosa significhi amministrare.
Da dove pensa che debba ripartire il Pd?
Ne abbiamo parlato nelle nostre tesi congressuali, anche se in maniera cursoria. Personalmente è da tempo che mi interrogo e approfondisco la questione con amici e conoscenti. La natura dell’esperienza del Partito Democratico in Italia è di stampo socialdemocratico ed è improntata alla vocazione maggioritaria cui aspiravano i fondatori del partito. L’idea era quella di tenere insieme forze diverse, sia liberali che più propriamente socialiste. Probabilmente le forme socialdemocratiche non sono più idonee a rappresentare i nostri tempi. Penso a quanto accaduto negli Stati Uniti e in Inghilterra, ad esempio. Hanno vinto partiti di destra e le formazioni di sinistra hanno subito stroncature nelle loro configurazioni più moderate, mentre hanno riscosso ottimi risultati candidati più radicali, come Sanders, Corbyn. Ma penso anche a Podemos in Spagna, che ora si sta evolvendo ulteriormente. Il punto qual è? Che se sei di sinistra devi esserlo fino in fondo. Non si può esserlo a metà.
E Macron allora?
In Francia il partito socialista era al governo. L’elezione di Macron è stata la conseguenza dell’insoddisfazione verso chi aveva governato. In questi tempi chi governa perde. Si ha timore di portare avanti politiche forti e le destre trovano spazio per questo motivo. Bisogna stare lontani dalle visioni idilliache e dal facile ottimismo come quella di Renzi, per quanto il mio giudizio sull’operato del governo Pd sia abbastanza positivo. Affrontare questioni nodali con riforme che, nonostante i limiti, sono riforme vere non è cosa da poco.
Schematizzando, se dovesse determinare tre elementi utili al superamento della crisi del Partito Democratico, quali indicherebbe?
Prima di tutto idee e parole chiare, senza soluzioni di comodo e strane ibridazioni. Seconda cosa: un grande sforzo di unità interna, evitare di far filtrare all’esterno divisioni e contraddizioni. Ci si chiude nell’Eremo di Zafer, come in Todo Modo di Sciascia, e se si sopravvive al confronto ci si presenta davvero uniti e rinnovati al mondo. Terzo elemento è la totale reinvenzione del concetto di sinistra.
Ovvero?
Negli ultimi vent’anni il mondo non è cambiato tanto per dire. Le trasformazioni sono state radicali. Bisogna affrontare le nuove sfide con idee, concetti e parole altrettanto nuovi, senza timore di esplorare nuovi territori, anche linguistici; né temere i tentativi di superamento di questo anacronismo. Bisogna capire come agire in nome e per conto del popolo della sinistra, cioè di coloro che oggi possono essere intesi come destinatari di politiche di sinistra. Che non sono più gli esclusi ed emarginati di un tempo, ma la classe medio-bassa: precari, piccoli commercianti e microimprese, insegnanti, dipendenti pubblici, immigrati. E una volta identificate le fasce più deboli lasciare l’onore della rappresentanza di altre entità ad esse opposte – i grandi manager, le grandi aziende, le banche – ad altri soggetti politici. Io rabbrividisco se penso che nella fondazione Open che ha finanziato la Leopolda ci sono colossi del tabacco, banche, ospedali privati, grossi magnati dell’industria e della finanza che sono chiaramente dall’altra sponda, rispetto ai più deboli.
E a Bitonto in che condizioni versa il centrosinistra, con tutti i limiti e le contraddizioni implicite in questo termine-ombrello?
Come molti sanno, a Bitonto il centrosinistra è sia al governo che all’opposizione. Una situazione generata da una diaspora dai grandi partiti storici della sinistra, cominciata molto tempo fa, direi già durante la campagna elettorale del 2008 che portò all’elezione del sindaco Valla. Diaspora non solo fisica ma anche culturale, che ha generato schegge e frammentazioni. In realtà se si guarda all’amministrazione bitontina non c’è però una contrapposizione così netta per quanto concerne le visioni globali. C’è, anzi, una certa condivisione dello stesso territorio di idee e valori. La difficoltà sta non tanto nel ricompattare le idee, dunque, quanto le persone. Purtroppo le contrapposizioni createsi tempo addietro si sono consolidate nel tempo. Ora bisogna avere fiducia nella politica e sperare che dietro certi posizionamenti non ci sia la volontà di affermare posizioni personali.
Quindi ci sono buone speranze di vedere una riunificazione delle forze che ancora si riconoscono nell’alveo del centrosinistra?
Dubito che si possa addivenire ad una riconciliazione in tempi rapidi a meno che non ci sia un brusco stravolgimento che possa travolgere tatticismi e personalismi. Per ora siamo lontani dalla risoluzione delle controversie. A noi comunque non deve interessare l’unione del centrosinistra, così, a freddo. Perché se il soggetto, per così dire, riformato risulta comunque anacronistico, superato, è ugualmente inservibile. Dovremmo piuttosto essere mossi dall’idea di trovare gente interessata a portare avanti un progetto innovativo che tenga conto delle lezioni desunte dall’esperienza Abbaticchio, del suo pragmatismo, in primis. Che è un atteggiamento anti-ideologico molto apprezzato dalla gente, capace di riavvicinarla ai meccanismi di gestione della cosa pubblica, alla vita democratica e quindi alla politica. Anche se poi è chiaro che questo pragmatismo, da solo non basta se si vuole raggiungere obiettivi più grandi anche in occasione di competizioni elettorali sovracomunali.
Anche perché poi bisogna pensare al post-Abbaticchio
Appunto. L’idea di Città Democratica è che se nel 2012 la frammentazione poteva essere una risorsa per fronteggiare avversari che sembravano imbattibili, ora non lo è più. È un limite da superare, un freno che ci fa correre il rischio di rimanere incastrati nei meccanismi di veti incrociati, di protagonismo e autoreferenzialità non dissimili dalle pastoie burocratiche che imbrigliavano i partiti di un tempo. E allora che si fa? Si sfugge a certi lacciuoli per finire sotto la stretta di altri? L’esperienza decennale, come mi auguro sarà, di Abbaticchio, deve aver generato altro. Deve averci insegnato altro. Per quanto siano state le sue politiche ad occasionare la parcellizzazione non c’è valore in sé nella disunione. Quello è, o dovrebbe essere, solo il risultato di un momento di trasformazione.
Quindi come fare a ricomporre le fratture?
Se si vuole cominciare a costruire qualcosa, occorre prima di tutto rinunciare a darsi battaglia in consiglio comunale su stupidaggini e riscoprire Il patrimonio valoriale comune. E sulla base di questa consonanza di fondo provare a non accentuare eccessivamente le contrapposizioni così come sono state delineate dalle elezioni. Partire, insomma, da punti condivisibili del programma e di lì vedere dove si riesce ad arrivare.
Va bene, ma dove si deve partire concretamente, chi deve fare il primo passo?
A mio parere non può che essere un’operazione a guida Pd, che non deve esitare ad esercitare una leadership, anche se al momento il partito è più debole di quanto fosse in passato.
E Città Democratica che ruolo ha in tutto questo?
Finora abbiamo fatto da pontieri. Abbiamo lavorato per avviare una collaborazione col Pd e intendiamo continuare a farlo perché è quello in cui crediamo. Non essendoci appuntamenti elettorali imminenti che esacerbano le divisioni il periodo è abbastanza rilassato per fare i passi giusti. È chiaro che la regia non può venire da un movimento civico che tra l’altro ha deliberato durante il congresso di superare la fase del civismo per confluire in un partito più ampio, che può essere il Pd o un soggetto diverso di medesima ispirazione. A tale proposito aggiungo che questo passaggio non potrà avvenire al buio, né sarebbe ipotizzabile finché saremo su fronti opposti in consiglio comunale. Sinceramente non capisco gli ultimi sviluppi in consiglio comunale, gli attacchi che tutti conosciamo. Ci vuole un armistizio che consenta di provare concretamente il dialogo, con precisi segnali leggibili all’esterno, dai cittadini.
C’è da dire che almeno dal Pd non giungono più gli attacchi virulenti di un tempo, in particolare quelli di Ricci e Natilla…
Certo non ci sono più i colpi di scure di un tempo, ma bisogna considerare che il centrosinistra all’opposizione, di cui il Pd, con i suoi due consiglieri, non rappresenta la maggioranza, dichiara di parlare per tutta la minoranza, anche per conto del Pd. Probabilmente non tutti si riconoscono nel percorso che ho tratteggiato. Molti riconoscono nella figura di Michele Abbaticchio un impedimento invalicabile al dialogo e alla ricomposizione. Io non sono di questo avviso, chiaramente. Non ragiono in questi termini. Non può essere Abbaticchio il problema. Perché significherebbe rimandare le prove d’orchestra a chissà quando, dato che mi auguro che resti in carica fino alla fine del mandato.
A meno di “promozioni” o avanzamenti di carriera…
Da bitontino mi auguro che colga la migliore occasione possibile. A dirla tutta credo che qualsiasi concittadino dovrebbe augurarsi che ciò avvenga. Il punto non è che lui salga nella gerarchia amministrativa, ma che una volta arrivato ad un livello superiore continui a lavorare in filiera col nostro territorio. Chi ha esperienza politico-amministrativa sa che le operazioni di trasformazione più consistenti si possono fare soltanto avendo rappresentanti in seno ad organi di una certa rilevanza. Ad ogni modo non si possono certo attendere i prossimi appuntamenti elettorali per iniziare il dialogo. Non si può rinviare. Anche perché si tratta di un percorso lungo e laborioso e non si possono rimandare le consultazioni anche su un eventuale futuro candidato sindaco all’ultimo momento. La conseguenza potrebbe essere un Valla-bis.
Per concludere, una curiosità. Tra i tanti temi affrontati durante il congresso, dal welfare all’immigrazione, dal lavoro all’ambiente, ce n’è uno che le sta particolarmente a cuore?
È difficile mettere certi temi in ordine di gradimento. Per la mia cultura di riferimento mi reputo un ecologista convinto, dunque credo che l’istanza ecologica sia quella più indispensabile. Qualsiasi governo oggi dovrebbe darsi un programma improntato alla conversione ecologica. Su questo fronte il nostro Paese sconta un ritardo enorme. In Europa a livello politico potranno anche vincere le destre, ma sul piano amministrativo i governi hanno una visione dell’ambiente di natura anticapitalista, una cura e un’attenzione per la natura, gli ecosistemi, il ciclo dei rifiuti, che non si può più rimandare.