Quando il “Francesco Padre” si inabissò con il suo carico di vite umane

Il "mistero" della tragica fine dei pescatori di Molfetta al tempo della guerra tra Nato e Serbia

Quando si racconta che l’Europa sta vivendo il più lungo periodo di pace della sua storia ci si dimentica che, a poche miglia dalle nostre coste, si è combattuta, negli anni ‘90, una guerra impari tra le forze della Nato e la Serbia: lo scopo era impedire che ciò che restava dell’ex Jugoslavia proseguisse nella sua politica genocida in Bosnia e nel Kosovo.

Una guerra definita giusta e legittima. Ogni conflitto, tuttavia, ha il suo peso di ingiustizia, i suoi errori nelle catene di comando e i suoi “infortuni” nelle operazioni militari.

È una notte come tutte le altre quando, nel 1994, il motopeschereccio “Francesco Padre” prende il largo dal porto di Molfetta per raggiungere le acque internazionali prossime al Montenegro, notoriamente più pescose.

A bordo, cinque pescatori non nuovi a simili esperienze. Dopo quella notte nessuno farà più ritorno a casa e solo uno dei corpi verrà recuperato tra i rottami della barca. Ma cosa ha determinato l’esito così funesto di una nottata di pesca? La prima ipotesi è la più semplice e meno complottistica: quell’imbarcazione faceva la spola da una parte all’altra dell’Adriatico, camuffando con l’esercizio della pesca l’attività di contrabbando di armi ed esplosivi.

Per un incidente il carico dinamitardo esplodeva durante il trasporto. Ma ci si accorge subito che è un’ipotesi da scartare: nessuno dei pescatori ha precedenti penali. E poi, analizzando meglio i resti del “Francesco Padre”, il carico esplosivo si sarebbe dovuto trovare proprio sotto il vano motore: un’ingenuità che persino dei trafficanti dilettanti avrebbero evitato per impedire un effetto di potenziamento della detonazione.

Una seconda ipotesi si affaccia più tardi ed è quella di una vendetta della mafia montenegrina per lo sconfinamento nelle proprie acque territoriali, senza aver pagato il pizzo. Ma si possono eliminare cinque uomini per questo, affondando il loro motopeschereccio senza alcun avvertimento? La terza ipotesi sulle cause dell’affondamento è più inquietante, perché ancora una volta nel nostro paese presuppone verità negate e un possibile errore delle forze militari, poste a difesa della nostra incolumità.

Il tratto di mare oggetto di quel triste epilogo era costantemente pattugliato, in quei giorni, da mezzi Nato per rendere effettivo l’embargo verso la Serbia e il Montenegro. È possibile che il “Francesco Padre” sia stato ritenuto un pericolo da una nave dei nostri alleati e, per errore, colpito e affondato. Lo dimostrerebbero i colpi di arma da fuoco sul relitto.

Un tragico incidente che, come già nei cieli di Ustica, non può essere confessato ma deve rimanere sepolto nel triste “santuario” di un’ennesima stagione di misteri della nostra Italia.