In una delle sue conversazioni con l’amico Stig Björkman, critico e regista suo connazionale, Bergman confessò di non andare particolarmente fiero del suo adattamento del dramma radiofonico Il ritorno di Don Giovanni, scritto da un altro scandinavo, il danese Oluf Bang. Considerava il materiale di partenza un “pessimo dramma”, cui aveva dato, secondo il suo giudizio, una “forma cinematografica inappropriata”.
Eppure, sebbene tra i suoi film “minori”, L’occhio del Diavolo (1960) resta un buon film, caratterizzato da un ritmo convincente, dialoghi arguti e un godibile tono farsesco.
Al centro della pellicola, che manteneva sostanzialmente inalterato l’impianto teatrale, c’è la parola. Ed è di qui, dal lavoro sulla parola e dalla sua capacità di generare azione, che Marco Grossi, regista romano ormai da tempo stanziato a Bitonto, parte per Il Diavolo e la vergine, spettacolo tratto dal lavoro radiofonico originario di Bang che ha da poco portato in scena al Traetta di Bitonto con la sua Associazione Compagnia Urbana.
La storia alla base della rappresentazione teatrale di Grossi è la stessa del film. La verginità di una donna determinata a giungere illibata al matrimonio provoca un orzaiolo a Belzebù, che, d’accordo con i suoi consiglieri (Gaetano Modugno e Antonio D’Ingillo) decide di mandare sulla terra nientemeno che il più grande seduttore di tutti i tempi, Don Giovanni Tenorio (interpretato dallo stesso regista), insieme al suo fedele servitore (nel film Pablo, qui Catilenòn,fatto rivivere con grande simpatia da Pietro Cannito).
In cambio di uno sconto sulla sua pena infernale, dovrà riuscire ad irretire la giovane Britte-Marie (Francesca Parisi), figlia di un ingenuo e devotissimo pastore (Marco Battaglia), sposato con una l’insoddisfatta Renata (Ivana Stellacci) che, nonostante il parere espressamente contrario del diavolo e le pressioni del suo fidato demonio (Ines Froio), sarà invece insediata dalle mire di conquista di Catilenòn.
Ma pur concedendo un bacio al’irresistibile seduttore, l’amore di Britte-Marie per il fidanzato Jonas si rivela più forte di ogni tentazione: con un ribaltamento dei ruoli iniziali è Don Giovanni ad innamorarsi, non ricambiato, della fanciulla. Un avvenimento che porta al fallimento della missione e al ritorno al reame infernale, il cui re ammetterà la sconfitta, salvo poi ottenere, nel finale, una piccola, inaspettata, vittoria, che gli farà sparire almeno l’orzaiolo.
Vi sono, però, due grosse novità. Se nel film il diavolo ha le sembianze di un uomo, nello spettacolo portato in scena dalla Compagnia Urbana ha le fattezze di una donna, l’austera Sabrina De Palo, un satanasso atipicamente (e simbolicamente) vestito di bianco (i costumi sono di Caterina Colamorea e il make-up a cura di Arkè). Mentre Jonas, che nel film fa la sua apparizione per poi litigare con Britte-Marie e allontanarsi, rimane qui una presenza fantasmatica, eterno assente evocato solo da una telefonata (altro elemento inedito) in cui è in realtà un demone ad averne preso l’identità e a provocare la momentanea rottura amorosa.
Grossi, inoltre, che ha curato la regia dello spettacolo affidandosi alle scenografie di Irene Fiore e alla illuminazione di scena della Powersound di Fabio Fornelli, ha voluto rimarcare il carattere comico e burlesco del materiale di partenza, costruendo momenti di umorismo che hanno strappato molte risate, dalla platea agli ordini. Dove il pubblico, che ha fatto registrare sold out con diversi giorni d’anticipo, ha accompagnato con un lungo applauso la fine dello spettacolo.
foto di Massimiliano Robles