Ma l’arte si va a vedere? Realmente ci spostiamo per vedere l’arte, espressione del nostro tempo? Oppure siamo solo capaci di “navigare” su internet per cercare di scoprire cosa sta succedendo nel mondo? Per una persona che vive a New York è certo più facile andare a vedere un’infinità di eventi artistici, musei e gallerie. La quantità di tempo che ha è, comunque, ridotta per lo stile di vita che la città richiede. Tra l’altro, non è tanto importante il tempo necessario per vedere l’arte -contemporanea o meno- ma vederla dal vivo, poterne sfiorare le superfici. Ciò che può accadere anche con declamazioni fatte da un palco teatrale, magari girando attorno agli happening di arte performativa.
L’arte contemporanea si definisce tale perché è realizzazione nell’epoca in cui si manifesta e, quindi, qualcuno potrebbe dire che vederla attraverso un monitor è anch’esso un momento di arte. Arte e tecnologia, altro capitolo focale oggi. L’opera vista sul monitor è reale o no?
I concetti appena esposti, che tra l’altro riprendono, tesi di Christine Macel, curatrice della mostra “Arte Viva Arte”, allestita a Venezia nel 2017, ci servono per introdurre un’altra rassegna “The Electric Comma”, in corso in questi giorni nella città lagunare, presso la V-A-C Foundation a Palazzo delle Zattere a Dorsoduro.
Una collettiva, concentrata sui mutamenti nel linguaggio, nella percezione e nella comprensione all’epoca dell’intelligenza artificiale. Il titolo della mostra riprende il lavoro di Shannon Ebner che realizza, attraverso la fotografia, un “gioco” illusorio tra pittura e foto.
L’opera è di grande dimensione e va vista da molto lontano. Inizialmente appare come un disegno a inchiostro e pittorico; avvicinandosi, però, l’illusione scompare per evidenziare la fotografia.
L’obiettivo è mostrare la relazione tra l’intelligenza artificiale e quella umana nel mondo dell’arte.
La macchina è in simbiosi o in antagonismo con la mente umana? Forse la risposta è in moto continuo e la conoscenza estetica che si manifesta in queste opere è ancora da comprendere e assorbire come un tempo di decantazione necessario. All’ingresso della mostra alcuni lavori di Alighiero Boetti, realizzati a mano su carta e su tela. Presenti un collage e un disegno fatto a bic e stencil con vernice spray su tela. Questo artista è stato definito “concettuale”, ma è comunque partito dal fare con le mani. Da qui il lento lavoro di porre elementi insieme per collage o l’ossessivo segno a bic per realizzare opere di grosse dimensioni, anche se riteneva che la pittura fosse, in un certo senso, una forma di distacco dalla realtà non facendo vivere il presente della cronaca quotidiana.
“Quel che la biro rappresenta (rappresentava) per un occidentale, per un afghano è il ricamo, che come una memoria sovra individuale reca in sé parti della biografia collettiva”, ha scritto Jean Christophe Amman, sottile interprete del lavoro di Alighiero Boetti. La manualità è “l’enfasi” dell’arte, nella sua accezione di origine, “esibisco, mostro”: quindi ne dò forza e implicazione di conoscenza.
Vedere la pittura non è il risultato, ma è la ‘forma mentis’, come discernere in quello che vedo è la contemporaneità nell’arte.
Una contemporaneità che, in ultima analisi, dovrebbe andare a ricercare il nutrimento del senso critico e di empatia verso la vita estetica che il quotidiano stesso dovrebbe avere.