“La città che non dorme mai”

La Grande Mela, tra le luci maliose della notte e il lavoro frenetico che non conosce pause

“La città che non dorme mai” è una delle definizioni più note e calzanti di New York City.

Immaginiamo subito le luci scintillanti di Broadway, i grattacieli illuminati, spettacoli che iniziano a mezzanotte, ristoranti aperti sino all’alba, bar improbabili e i jazzisti dei locali del West Village che suonano sino alle quattro del mattino.

Di notte, la metropolitana rallenta le corse ma non si ferma mai. Come i trasportatori che consegnano la merce ai negozi e ai ristoranti o i lavoratori messicani, che si vedono sbucare dalle botole sottostanti i locali e scaricare quintali di cibi e bottiglie a tutte le ore.

Produttivià sette giorni su sette: la maggior parte della popolazione di New York vive un’estenuante competizione ed è ubriaca di stress e stanchezza.

Qualche giorno fa ho accompagnato un’amica, fresca di master, alla Columbia a cercare una stanza. Ci ha aperto la porta di un appartamento al pianterreno un uomo asiatico che odorava fortemente di fritto, suppongo lavorasse al ristorante filippino dietro l’angolo.

Ci ha mostrato un ingresso dove, ha specificato, dormirà lui. La visita è proseguita lungo un corridoio che ci ha consegnate alle tre stanze da letto, una peggio dell’altra. Ma il dettaglio più inquietante, oltre al prezzo assurdo, era il salotto, con cucina incorporata e finestrella su uno stretto muro grigiastro.

All’idea della “casa vista muro” siamo andate via.

Si dice che a New York si è sempre in cerca di una casa, di un lavoro e di un amore. Non si smette mai di cercare qualcosa o di ottenere di più: forse è per questo che la città offre tutto il necessario a tutti gli orari. Ci si può tagliare i capelli, fare la spesa o ginnastica a mezzanotte e, volendo, tutto ci viene venduto già pronto.

Dovrebbe far riflettere l’innita scelta di prodotti già lavati, sbucciati e pronti all’uso, dall’aglio ai mandarini passando per ricette di ogni sorta e bandiera.

Il nostro pianeta sta soffocando. L’allarme dovrebbe suonare costantemente nelle nostre menti. Ma un dettaglio come una confezione di mandarini venduti già sbucciati e avvolti nella plastica mi fa credere che non ci sia troppa speranza di educare all’ecologia.

Una città di più di otto milioni di abitanti con il mercato immobiliare più caro al mondo, considerata simbolo mondiale della danza, della cultura e della diversità dovrebbe ergersi anche a simbolo di lotta all’inquinamento.

Sbucciare la frutta della sua naturale confezione di buccia porosa per avvolgerla nella plastica non è certo un segnale di progresso.

Del resto, a un anno e mezzo dalle elezioni, il presidente Trump è rimasto fermo nella sua posizione rispetto al Trattato di Parigi e non sembra si stia preoccupando della plastica, degli oceani e del riscaldamento globale.

Foto di Margherita Mirabella