Se in un giorno di sole, all’inizio di primavera, ti porti a Santo Spirito e guardi il mare, ne rimani affascinato. Ma c’è tanta, troppa gente e quell’incanto d’un tratto svanisce. Così, provi a cercare pace e tranquillità tra le strade interne del borgo, un tempo marina di Bitonto, e lasciandoti alle spalle la chiesa dello Spirito Santo, cominci a salire per corso Garibaldi. Ed ecco, al termine del primo isolato, Villa Stampacchia.
La scopri quasi per caso e ne resti ammaliato. Cerco il proprietario e vengo a sapere che è l’ing. Giandonato Disanto, oggi residente a Mola di Bari.
Lo chiamo a telefono e lo invito a incontrarlo proprio lì, in quell’antica magione. L’ingegnere mi raggiunge e comincia a parlare. Così, pian piano, quella casa-museo, dall’atmosfera vagamente dannunziana, comincia a svelare i suoi “misteri” e a raccontare storie che non t’aspetti, lì a un tiro di schioppo da Bitonto.
Villa Stampacchia viene costruita nel 1887 da Angelo e Giovanni, due fratelli benestanti, residenti a Bari ma di origini leccesi. È la loro residenza estiva. I due sono gemelli nati a sei ore di distanza. Diventano avvocati e magistrati. Moriranno a sei ore di distanza.
La villa, allora, passa a una nipote, Maria Colomba, figlia della sorella Emilia che ha sposato Eugenio Canudo, padre del celebre Ricciotto, l’artista, l’esteta, il teorico, l’inventore che per primo identifica il cinema come Settima Arte.
E qui la storia si colora di atmosfere e particolari decisamente interessanti e fascinosi. Il nonno di Ricciotto, era un giovane ufficiale di cavalleria che aveva cercato in tutti i modi di rendere più democratico il Regno delle Due Sicilie, battendosi, persino, contro gli stessi Borboni per la costituzione.
Partecipa ai moti di Napoli del 1821. Imprigionato e condannato a morte, viene graziato da Ferdinando IV. Dopo trent’anni di carcere, viene liberato il 1830. Giunto a Mola di Bari, in qualità di funzionario di dogana, sposa la vedova Maria Colomba Russo, da cui nascono due figli: uno è Eugenio.
Questo sposa Emilia Stampacchia, da cui riceve cinque figli, tra cui Ricciotto. I fratelli vengono avviati alla magistratura. Ma Ricciotto è di un’altra pasta. Intrapende gli studi tecnici. Ma, in realtà, ha animo d’artista e, così, si trasferisce a Firenze, poi a Roma e, infine, a Parigi.
Nella capitale francese, Ricciotto entra a far parte, da protagonista, dei principali circoli artistici impegnati nella ricerca di una nuova e più vasta visione filosofica e poetica. Frequenta, tra gli altri, Guillaime Apollinaire che lo definisce simpaticamente “le barisienne” e lo elogia per la “lectura Dantis” che Ricciotto tiene nella Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali di Parigi.
Stringe rapporti di amicizia, condividendone impegno ed entusiasmo, con le avanguardie del tempo: da Igor Stravinsky a Maurice Ravel, da Erik Satie a Marc Chagall, Natalia Gontcharova, Robert Delaunay, Georges Braque, Abel Gance, Jean Cocteau e Pablo Picasso. Quest’ultimo gli dedica un ritratto con tanto di dedica, custodito oggi nella Galleria d’Arte Moderna di New York.
Un giorno, per strada, incontra un ragazzo che dipinge. Ricciotto ne è affascinato e lo invita a seguirlo. Diventa il suo mentore. Quel ragazzo è Marc Chagall. Il pittore gli sarà eternamente riconoscente. Ricciotto Canudo diviene nel frattempo un teorico dell’arte, uno specialista del cinematografo, che definisce la Settima Arte.
A differenza dei fratelli Lumiere, che la ritenevano un’invenzione senza futuro, Ricciotto sostiene che il cinematografo sia il compendio, l’esplicitazione e la raffigurazione delle sei arti primordiali: l’architettura, la pittura, la scultura, la musica, la danza e la poesia. Il cinema, Settima Arte, unisce e fonde tutte le altre.
I Lumière portano sugli schermi le immagini in movimento di un treno che sembra travolgere gli spettatori. Ricciotto, grazie ai suoi studi tecnici, aggiunge alle immagini la colonna sonora, impressa direttamente sulla pellicola.
Collabora, infatti, alla realizzazione de “La Roue” (La rosa sulle rotaie) di Abel Gance. Il film è del 1922 e Ricciotto incide il commento musicale sulla pista magnetica. Un’invenzione straordinaria, destinata a sostituire il pianista che accompagna le scene dal vivo ma, soprattutto, a creare colonne sonore funzionali a ciò che viene proiettato.
Ricciotto aveva una preveggenza degli eventi futuri e una straordinaria eccletticità di interessi. Nel libro “Les liberes” (I liberi), parla delle persone senza vincoli, gli anarchici e i pazzi. Per questi ultimi elabora una sistema di cura basato sulla sessualità e la musica.
Teorie che negli anni settanta vengono riprese e sviluppate. Muore a Parigi il 1923 a seguito delle ferite contratte in guerra. A Gioia del Colle, a Mola di Bari e in altre località, a lui sono intestate strade e istituti scolatici.
Villa Stampacchia nel corso degli anni fu ceduta alla sorella, quindi alle figlie Teodora ed Emilia. Nel 1934 divenne Casa del Fascio. Fu poi sede dei comandi tedeschi e inglesi, durante la guerra. Nel 1949 rientra nel possesso dei proprietari, che se ne servono come villa la villeggiatura. Poi viene divisa in quattro parti, una per ogni erede. Successivamente, nel giardino viene creato un ristorante. È il 1950 e a Villa Stampacchia si balla al suono di un’orchestrina. Qualche altro anno ancora e torna ad essere casa per le vacanze estive.
Dal 1992 sino all’anno scorso è stata la dimora dell’ing. Giandonato Disanto, a cui si deve il restauro e la sua valorizzazione. Ora è una casa-museo. I suoi arredi, i cimeli, i quadri, i diplomi raccontano una ricca e originale saga familiare, lunga ben 130 anni.