Il principio di tutte le cose. L’inizio. Una poesia che dà forma alle cose. “Bereshit”, Genesi, primo libro del Pentateuco. Oppure il “cominciamento” di Massimo Cacciari in quel capolavoro di teoretica che è il suo “Dell’inizio”. La forma, la parola, il concetto.
Raffaele Urraro, studioso di poesia e di poeti, spesso a Bitonto per presentare i suoi lavori, torna ai versi dopo un’assenza di pochi anni, dovuta anche a ricerche di saggistica e critica. Lo fa con un testo impegnativo e pensoso.

Si intitola appunto “Bereshit (In Principio)” l’ultima raccolta dello studioso nativo di San Giuseppe Vesuviano, pubblicata per Marcus Edizioni. Questo approccio di un poeta ai testi sacri collega il nostro ad una fitta e raffinata tradizione di affiancamento del lavoro poetico alla cura e alla lettura di libri religiosi. Traduttori importanti non sono mancati, così lettori speciali e acuti interpreti.
Ci vengono in mente, tra i tanti, il Luca tradotto da Diego Valeri o l’Apocalisse di Massimo Bontempelli (consigliabile su queste tematiche la raccolta “Gli scrittori italiani e la Bibbia. Atti del convegno di Portogruaro, 21-22 ottobre 2009″, a cura di Marta Piras, edizioni Eut).
Urraro ha invece il sacro come pre-testo per raccogliere le testimonianze della propria versione delle cose e del mondo. Il libro è un vero e proprio poema con nota introduttiva dell’autore, un prologo e poi trentuno “riflessioni del pensiero”, interpretazioni in versi su vari passi della Genesi.
E torna il pensiero, il pensare. A proposito del volume, illuminanti alcune parole di Nicola Pice, amico personale di Urraro. “Il poeta sa che la parola poetica è il respiro dell’anima del mondo. Egli grazie ad essa sa spaziare lungo un orizzonte senza confini per informare i suoi pensieri che si perdono nella genesi del mondo, sa cogliere il senso delle cose e la dimensione del dolore che ti dà l’esatta dimensione delle cose”, così il professore, che definisce l’opera “ricca di suggestivi stimoli a pensare”. L’epilogo del lungo cammino del poeta arriva dopo “notti rubate al sonno”, momento indispensabile “per varcare il cancello ed entrare/ nei deliri della fantasia”. In questa fantasia alberga l’io poetante, anzi il pensiero poetante, dell’autore. Nella capacità della parola tutto il valore della ricerca, “l’unico spazio che ci resta/ per sondare la nostra libertà”.
È la libertà del pensiero stesso. Poesia cogitante, non un fatto eminentemente artistico-letterario e nemmeno, a ben pensarci, uno spirituale-religioso, tantomeno un esercizio retorico-stilistico. Questa è poesia “in cerca di qualcuno o qualcosa/ che possa svelare finalmente/ le ragioni del mondo/ il fine dell’uomo/ il senso della storia”. Siamo su sentieri alti, impegnati e impegnativi. Il poeta sperimenta la propria insufficienza o l’insufficienza di queste stesse realtà prime, ultime.
“Ma dev’essere veramente terribile/ dover spiegare perché/ si è fatto tutto questo casino/ per niente”. S’insinua feroce il dubbio che vana non sia la ricerca, piuttosto la realtà stessa, quella terrena e quella di un “dio” esistente, forse, probabilmente mendace: una presenza spirituale nascosta, raminga “‘per le strade silenziose del cosmo”, addirittura “in compagnia dei suoi rimorsi”. Al massimo appare, in alternativa immagine non meno caustica e feroce, ancora nascosto “in qualche angolo sperduto/ o su qualche stella compiacente/ perché non avrebbe la forza/ di dire la verità”. L’origine resta però nel dire stesso, nel “Pensiero” (maiuscolo rigorosamente dell’autore) che tutto muove, nella poesia espressione di questo messaggio di “riflessione” sulla potenza della parola e sull’impotenza dei fatti voluti dagli uomini. E la parola rimane creatrice e vivificante (bellissima la settima riflessione “donde nasce la parola”). I temi abbondano. La conoscenza. La ragione. La colpa. La maledizione del peccato. Pensieri sotto forma di poesia ma anche poesia sotto forma di pensieri. Un autore, Urraro, che lascia trasparire quanto coltivi la buona letteratura e quanto legga ed ami i grandi poeti.