Le elezioni, apparentemente, hanno prodotto due vincitori, formalmente in antitesi: il movimento Cinque stelle di Di Maio e la Lega di Salvini. I primi, in particolare, mietendo consensi al sud, là dove la ripresa economica stenta a decollare; i secondi, soprattutto al nord, che registra percentuali di sviluppo simili alla Germania della Merkel.
A ben guardare, tuttavia, il trionfatore di queste elezioni è uno solo: quel fenomeno che gli osservatori definiscono populismo e che, invece, con audace metafora letteraria, possiamo denominare “cupio dissolvi”. Alla lettera la locuzione latina significa “desidero morire” e deriva da un’espressione dell’apostolo Paolo, contenuta in una lettera ai Filippesi, con cui il santo di Tarso paragona “il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo” all’utilità di restare “nella carne” per essere vicino alla comunità.
Nell’uso comune la frase “cupio dissolvi” significa operare il disfacimento di se stessi, annullarsi, autodistruggersi. Ciò che, in qualche modo, tornando all’attualità, ha tentato di fare l’elettorato, picconando quello che rimaneva della seconda repubblica senza accorgersi che stavano per venir meno i muri maestri della casa comune. Fuor di metafora, ciò che restava dell’essere una comunità solidale, fondata su valori costituzionali irrinunciabili e indefettibili.
Perché domani, sgombrato il campo da Renzi e Berlusconi (i “vinti” eccellenti dal turno elettorale), qualcuno dovrà pur governare questo Paese, interfacciarsi con l’Europa, provare a tenere dritta la barra del timone per evitare di navigare a vista e farsi condurre per mano dai poteri forti.
Il timore è che con gli slogan anti-immigrati (che hanno preso il posto di quelli anti-meridionali) o con il sussidio per tutti (reddito di cittadinanza) non si andrà lontano. Una volta esaurite le risorse dello stato sociale, a pagare il prezzo di una nuova crisi saranno sempre gli ultimi e le generazioni future, vale a dire gli stessi che hanno votato contro tutti e contro tutto.
La speranza è che, deposti gli slogan e le parole d’ordine della campagna elettorale, e rinsaviti dal “cupio dissolvi”, i vincitori di queste elezioni siano in grado di esercitare l’arte del compromesso (nel senso più nobile) e che nascano statisti dall’adorabile canaglia eletta. E che nessuna troika s’insedi per eterodirigere un paese privo ormai di sovranità.
Accada cioè quello che capitò a Paolo di Tarso che al desiderio di autodistruzione preferì la dura fatica dell’apostolato quotidiano anche tra i pagani.