L’importanza di Manzoni

Nel giorno dell'anniversario della nascita, avvenuta a Milano nel 1785, ripercorriamo le ragioni che hanno reso grande lo scrittore lombardo

Il 7 marzo 1785 nasceva a Milano Alessandro Manzoni. E ci sembra quantomeno doveroso rammentare la figura dello scrittore lombardo per una serie di motivi. Per cominciare si potrebbe argomentare che Alessandro Manzoni sia stato, dopo Dante, la figura più importante per la letteratura italiana da un punto di vista linguistico e nell’ambito dei generi letterari.

Questo perché I promessi sposi, colossale romanzo storico che spodestò in maniera netta simili operazioni tentate da altri autori (coevi sono, ad esempio, quelli del Bazzoni e del Guerrazzi, tutti pubblicati nel 1827), per motivazioni in primis linguistiche – quella risciacquatura dei panni nell’Arno – e poi anche solo tematiche (la scelta di ambientare il romanzo non nel Medioevo, bensì nel Seicento, per inciso il triennio 1629-31, martoriato dalla peste). A Manzoni stava a cuore la questione delle fonti storiche: ambientare il romanzo in un secolo più vicino al suo significava, tra le tante cose, potersi avvalere di fonti più solide e plausibili.

Romanzo letto praticamente in tutto il mondo, I promessi sposi si poneva anche un altro nobile obiettivo, sposare cioè “storia” e “invenzione”, innestare alla macrostoria dei grandi eventi, realmente avvenuti, le microstorie dei protagonisti, frutto dell’invenzione dello scrittore. Un chiaro tentativo di affermazione del Romanticismo italiano, corrente che di per sé ha probabilmente faticato ad affermarsi nel nostro Paese, per via del troppo sole italiano – per dirla con Benedetto Croce – che mal si sposa alle atmosfere lugubri del Romanticismo d’oltralpe.

Eppure Manzoni scrive un romanzo che oltre ad esser “storico” è anche fortemente gotico. Vi si ritrovano infatti molti dei topoi del romanzo nero anglosassone (castelli, monasteri, la fanciulla perseguitata e il villain di turno, ecc.). Senza dimenticare il fatto che il Fermo e Lucia (erroneamente definita una prima versione dei Promessi sposi, in quanto si tratta di un’opera a parte) è ancor più zeppo di riferimenti al gotico anglosassone e impregnato di mefitica aria oscura.

D’altra parte in Inghilterra il romanzo gotico assume lo stesso ruolo del romanzo storico in Italia. Non a caso, nel suo illuminante saggio sul tema, Lukacs definisce Il castello di Otranto di Walpole, anno di grazia 1764  – unanimemente definito l’inizio del gotico – il primo esemplare di romanzo storico. Lo stesso Walter Scott, autore dell’Ivanhoe, riconosciuto universalmente come maestro dei romanzieri storici, rimase affascinato dal testo manzoniano, al punto tale da definirlo “il romanzo che avrei voluto scrivere”.

Manzoni dunque portavoce di un romanticismo che nulla aveva a che vedere con quello d’oltralpe (la scena tedesca dei fratelli Schlegel, il romanticismo notturno di Novalis, ma anche le Lyrical Ballads, manifesto del romanticismo inglese di Wordsworth e Coleridge). Un romanticismo più moralista, pedagogico e “religioso” di quello, maledetto, di altri Paesi. Per paradosso è stato infatti il nostro neoclassicismo ad avere più punti in comune col romanticismo tedesco (la ripresa del mito con Monti, Foscolo e Pindemonte, ad esempio). Nella polemica classico-romantica la posizione di Manzoni era alquanto ambigua: romanticismo sì inteso come sterzata modernista a certi dettami neoclassici, ma sempre perseguito con moderazione, come fosse “mal temperato”.

Storia reale, dunque, con tanto di fonti. Ma cosa sarebbe il romanzo senza i sussulti dell’animo dei suoi protagonisti “inventati”? Mera cronaca degli eventi milanesi durante la peste del Seicento, probabilmente. Quello che avrebbe dovuto fungere da capitolo interno al romanzo, ossia la Storia della colonna infame, verrà pubblicato successivamente dallo scrittore senza alcuna pretesa romanzesca; il passaggio dal romanzo (Storia più invenzione) al saggio storico (solo realtà storica) è sancito.

Prima di Verga è Manzoni, allora, a marcare l’importanza della forma romanzo in Italia. Un autore eclettico che non ha certo lesinato sulla produzione lirica, sempre capace di cogliere nel segno lo sviluppo di alcuni processi storici e di penetrare nel cuore dei mutamenti sociali. Senza dimenticare le due tragedie “storiche” anch’esse pungenti verso i protagonisti medesimi, tragedie che – peraltro – sono tra le più difficili da rappresentare.

Manzoni muore, sempre a Milano, il 22 maggio 1873. Quanto ancora ci sarebbe da dire della sua vita, del tormentato rapporto con la religione, l’agognata solitudine, le sue nevrosi – non ancora definite tali –, il rapporto con le donne. E molto altro. Ma non è questo il luogo adatto ad un excursus nella vita dello scrittore lombardo. Non meno doveroso, però, è ricordarne l’immensa statura nell’atlante letterario italiano. Il suo ruolo di romanziere, di poeta e tragediografo, di storico. Il peso spropositato della sua produzione nell’economia dell’Ottocento letterario, l’enorme capacità di imbastire una storia che, ancor oggi, affascina, illumina e rende partecipi.